Unioni civili: riformato anche il codice penale

Tania De Fazio 24/02/17
Dopo un travagliato e lungo iter legislativo, che trae origine dalla proposta di legge sul c.d. Pacs (patto civile di solidarietà), presentato da Franco Grilli alla Camera dei Deputati il 28 aprile 2006 (mai divenuta legge), con una votazione storica dello scorso anno le unioni civili sono state introdotte anche nel nostro ordinamento.

Come si ufficializza un unione civile?

Con legge n. 76, del 20 maggio 2016, è stato disciplinato che “due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni” (cfr. art. 1, secondo comma della suddetta legge). Presupposti necessari sono, quindi, la maggiore età, una formale dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile e la presenza di due testimoni.

Un primo ed importante passo in avanti verso la parificazione delle coppie eterosessuali unite in matrimonio e le coppie omosessuali conviventi è stato fatto, ma sicuramente la strada è ancora lunga e tortuosa.

Unioni civili e disegno di legge

La base per la svolta che ha portato all’approvazione del disegno di legge è sicuramente stata posta dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 138 del 2010 ha chiarito che non è contrario alla nostra Costituzione tutelare i diritti delle coppie dello stesso sesso attraverso una legislazione diversa rispetto a quella sul matrimonio, così come attualmente disciplinato. La Corte, attraverso un’analisi comparatistica delle legislazioni nazionali, arriva a dichiarare che, per quanto una tutela debba essere riconosciuta, non necessariamente questa deve coincidere con la disciplina del matrimonio. L’ultima parola, insomma, spetta al Parlamento, quale unico organo adibito all’ascolto ed alla messa in atto della volontà popolare.

Che la volontà dei cittadini, o comunque di una parte sostanziale di essi, fosse di arrivare ad una disciplina delle unioni civili era ormai evidente e, seppur travagliato, l’iter che ha portato all’approvazione della legge n. 76 del 2016 era, probabilmente, necessitato e destinato ad arrivare ad una conclusione positiva. Seppur non sovrapponibile alla disciplina del matrimonio prevista dal codice civile, la nuova normativa ha con questa diversi punti di contatto, a partire dalle cause impeditive alla costituzione dell’unione civile, sino ad arrivare agli obblighi da questa derivanti, con particolare riguardo all’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione (pilastri fondanti del matrimonio tradizionalmente considerato).

Che tutto ciò non fosse sufficiente, però, era chiaro persino al legislatore, che nello stesso testo di legge ha inserito una delega al Governo all’adozione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della stessa, di uno o più decreti legislativi, volti alla disciplina analitica delle unioni civili ed al coordinamento della nuova normativa con le disposizioni previgenti.

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Codice penale e Unioni Civili

Di non poco conto è, sicuramente, la necessità di coordinare la disciplina civile, con quella prevista da altri rami dell’ordinamento giuridico, primo fra tutti, quello penale. Il concetto di matrimonio, infatti, assume rilevanza in diverse disposizioni penalistiche, non solo come elemento costitutivo di alcuni reati (vedasi il delitto di bigamia, che punisce colui che, essendo legato da un matrimonio avente effetti civili, ne contrae un secondo), ovvero di circostanza aggravante (il rapporto di coniugio aggrava la pena per il reato d’omicidio), o ancora di elemento che esclude la punibilità del colpevole (come nei delitti contro il patrimonio).

È evidente, da quanto sopra riportato, che la semplice introduzione del concetto di unione civile, senza un intervento maggiormente complesso di adeguamento di alcune disposizioni penali, avrebbe snaturato la portata di tale innovazione, rendendo, comunque, impari il trattamento delle coppie omosessuali, rispetto a quelle eterosessuali.

È per tale ragione che il Governo, seppur dopo circa otto mesi dall’approvazione della legge 76 del 2016 (ben oltre i sei mesi previsti dalla stessa) è nuovamente intervenuto al fine di apportare le necessarie modifiche al codice penale, con il decreto legislativo n. 6 del 19 gennaio 2017, recante “Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell’art. 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76”.

Unioni civili e modifiche del codice Rocco

L’equiparazione delle unioni civili al matrimonio fra soggetti di sesso opposto, ai fini della disciplina penale ha portato alla modifica di alcuni articoli del codice Rocco, nonché del codice di rito, con l’introduzione di apposite disposizione in singole norme.§

L’innovazione maggiore si è avuta con l’introduzione dell’art. 574 – ter c.p., il quale prevede espressamente che, agli effetti della legge penale, il termine matrimonio deve intendersi comprensivo della costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso. Il secondo comma della medesima disposizione, inoltre, chiarisce che ogni qual volta la legge penale considera la qualità di coniuge come elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato, deve intendersi riferita anche alla parte di un’unione civile.

La necessità, pertanto, di equiparare il coniuge alla parte di un’unione civile, era sentita anche dal legislatore penale, ben consapevole della circostanza che, in caso contrario, la mera previsione della possibilità di stipulare un contratto, riconosciuto dalla legge, fra due persone del medesimo sesso, sarebbe improduttiva d’effetti concreti, ove non fossero previste anche specifiche norme che, di fatto, assimilino le due posizioni giuridiche.

Una clausola così ampia e generica permette, quindi, di uniformare alla legge 76 del 2016, tutte quelle disposizioni che, altrimenti, potrebbero essere applicate soltanto alle coppie coniugate, senza un intervento organico sulle singole norme da parte del legislatore penale.

Non è chiaro il motivo che ha spinto il legislatore a non prevedere espressamente l’equiparazione delle due posizioni (coniuge e parte dell’unione civile), anche per le disposizioni che dalla qualifica di coniuge fanno discendere un effetto positivo nei confronti dell’indagato. Vero è che per il principio del favor rei, tale circostanza dovrebbe verificarsi comunque, non essendo preclusa l’interpretazione estensiva di norme favorevoli. Non resta altro che attendere di conoscere l’applicazione che verrà fatta della disposizione in oggetto da parte dei magistrati.

L’introduzione, pertanto, di tale modifica è un ulteriore passo avanti verso la tutela dei diritti delle coppie omosessuali, seppur la strada da compiere sembra ancora tutta in salita.

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