Ma andiamo con ordine.
Tanto per cominciare, sono passati esattamente tre anni da quel 14 gennaio 2014, quando cioè i giudici della Suprema Corte resero note le motivazioni della bocciatura definitiva del Porcellum, la legge elettorale firmata da Roberto Calderoli con cui erano stati eletti ben tre Parlamenti, incluso quello attualmente in carica. In quei giorni, avveniva il “tu quoque” di Matteo Renzi ai danni di Enrico Letta, il quale venne rapidamente defenestrato da palazzo Chigi dallo stesso segretario Pd fresco di nomina. In quel momento, partì la melina per le riforme, dapprima benedette sotto al Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, poi portate in fondo a fatica senza le larghe intese che le avevano introdotte. Com’è finita, lo sappiamo: lo scorso 4 dicembre il 60% degli italiani ha respinto la proposta di revisione costituzionale, stabilendo, di fatto, la conclusione del governo Renzi, almeno nel suo primo ministro dimissionario. Quel che restava dei tre anni scarsi di renzismo, in ambito istituzionale, era proprio l’Italicum, ossia la legge elettorale approvata da entrambe le Camere, ma valida solo per Montecitorio, dunque del tutto in linea con la riforma Boschi, che cancellava l’eleggibilità diretta dei senatori.
Una legge elettorale divenuta improvvisamente sorpassata ancor prima di essere utilizzata, e rimasta sub judice per vari mesi, dopo che la Corte costituzionale aveva preferito rimandarne l’esame per non turbare il clima già infuocato di avvicinamento al referendum. Il resto è cronaca: l’arrivo a palazzo Chigi di Paolo Gentiloni è dovuto anche a questo periodo di stasi, questi cinquanta giorni di limbo in cui si attendeva una sentenza fin troppe volte annunciata. Il responso è la pietra tombale sulla prima fase del renzismo. Non deve stupire se proprio ieri l’ex premier ha inaugurato il suo nuovo blog, parlando apertamente di futuro e chiudendo metaforicamente la sua prima esperienza di governo: una mossa che ha anticipato il sapore della decisione emersa in Consulta.
Cosa accadrà adesso
La Corte, nel dispositivo reso noto ieri pomeriggio, ha messo in chiaro che la norma così come è stata modificata può essere immediatamente utilizzabile. In sostanza, ci troviamo tra le mani, per la sola Camera dei deputati, una legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza pari al 40%, ma ripulita del ballottaggio dichiarato inammissibile dai giudici costituzionali. Per il Senato, invece, continua a rimanere in vigore il Porcellum “monco”, con le alte soglie di sbarramento e le caratteristiche che tanto hanno fatto discutere, generando maggioranze appese a una manciata di voti. Addirittura, dopo gli interventi della Consulta appare molto probabile la presenza, dopo le urne, di due diverse maggioranze nei rami del Parlamento.
In un quadro così confuso, puntare al premio garantito alla Camera significherebbe aggiudicarsi il Jackpot in ottica di governo. Dal momento che assai difficilmente i singoli partiti avranno i numeri per puntare al 40% – gli unici teoricamente potrebbero essere Pd e M5S, ma attualmente i sondaggi li danno ben lontani dal traguardo – prepariamoci a vedere il ritorno di un classico della politica italiana, le grandi ammucchiate.
Il Partito democratico, forte di un 30-35% potenziale di consensi, potrebbe riallacciare i rapporti con la sinistra, cercando di raggranellare qualche punticino in più decisivo per la vittoria. Il rischio, però, sarà quello di perdere l’appoggio dell’elettorato moderato.
A destra, appare assai probabile un remember del 1994, con la riesumazione del Polo delle Libertà capitanato dal sempiterno Berlusconi, affiancato dai luogotenenti Meloni e Salvini, il quale non avrà scelta che tornare a più miti consigli. Un’alleanza però insufficiente, che potrebbe valere intorno al 30%: per questo sarà fondamentale una “campagna acquisti” in area centrista, con il rientro del figliol prodigo Alfano a dare manforte.
Da ultimo, il MoVimento 5 Stelle, che ha già detto e ripetuto in più occasioni di essere ostile a qualsiasi ipotesi di apparentamenti. Anche se da qualche parte si vaticina addirittura a un feeling con il Carroccio, è probabile che Grillo e i suoi si giocheranno il tutto per tutto nella lotta solitaria, sperando di attrarre i delusi dagli altri schieramenti.
Insomma, lo scenario di elezioni con questo sistema vigente è duplice: da una parte potrebbe ridurre drasticamente il numero delle liste sulla scheda, dall’altra, però, avrebbe il fetore stantio del peggio tra Prima e Seconda Repubblica, con alleanze improbabili che daranno vita a maggioranze instabili, con uno o più governicchi di breve durata e bassa efficienza.
A meno che Gentiloni non decida, in uno scatto d’orgoglio in sintonia con il Quirinale, di rimettere tutto al vaglio del Parlamento resettando la normativa elettorale. Assicurandosi, così, di rimanere in carica fino alla scadenza naturale della legislatura: un 2018 che oggi non appare più così lontano…
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