Secondo quanto denunciato dalla Coldiretti, si è giunti ad una tassazione per ettaro di 320 euro (essenzialmente riconducibile alla riduzione del trasferimento del contributo Regionale), un costo ormai insostenibile a fronte di servizi carenti, quando non inesistenti.
La questione è certamente politica; viceversa, dal punto di vista giuridico essa è ormai chiara.
E mentre la polemica infiamma, la Cassazione torna a ribadire principi che oramai è possibile considerare pacifici.
L’ultima pronuncia della Cassazione
E’ di soli pochi mesi l’ultima pronuncia (la n. n. 12576 del 2016) con la quale la Cassazione non perde l‘occasione di ribadire che il proprietario di un fondo è tenuto a pagare i contributi consortili solo se e nella misura in cui ritragga dall’appartenenza a detto consorzio un beneficio cd. fondiario o prediale (ovvero un vantaggio diretto e specifico) (cfr. l. reg. sicilia n. 45/95, art. 860 cc).
Deve trattarsi di un “vantaggio singolarmente dimostrato e proporzionalmente quantificato”. In ragione di tali vantaggi apportati ai fondi, la legge attribuisce ai Consorzi un potere impositivo finalizzato, appunto, al recupero delle spese sostenute per le opere di bonifica.
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Se il consorzio ha adottato un piano di classifica
Laddove il consorzio abbia adottato un piano di classifica, la conseguenza è esclusivamente quella di far presumere l’esistenza di un vantaggio derivante dall’attività di bonifica a favore dei fondi ricompresi nell’area di intervento.
Logico corollario di ciò risiede nel fatto che l’impugnazione del piano di classifica ad opera del consorziato, comporta che la vantaggiosità deve essere provata dal consorzio; viceversa, laddove il consorziato non abbia impugnato il piano di classifica, spetta al consorziato dare la prova dell’assenza di vantaggi a favore del proprio fondo ritratti dalle opere e manutenzioni effettuate dal Consorzio medesimo nell’ambito delle sue finalità istituzionali.
Ciò in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c..
Le pronunce delle Commissioni Tributarie
Nel medesimo solco si pongono le pronunce delle Commissioni Tributarie che, nell’ottica dell’aumento delle vie di tutela offerte al cittadino, riconoscono l’ammissibilità delle azioni collettive (cfr. Commissione Tributaria di Reggio Calabria, nona sezione, depositata lo scorso settembre 2015).
Questo rappresenta un’innegabile vantaggio posto che, seguendo tale via, i contribuenti possono rivolgersi collettivamente al giudice tributario, in tal modo evitando di essere costretti a sobbarcarsi da soli i relativi costi.
A chi spetta decidere le controversie in materia di contributi consortili?
Quanto alla giurisdizione, è ormai assodato che spetti al Giudice tributario conoscere e decidere le controversie in materia di contributi consortili (cfr. Corte di Cassazione a S.U. n. 8770/2016).
Viceversa, non sempre pacifica risulta l’impugnabilità del “sollecito di pagamento” dei contributi in parola ricevuto dal contribuente prima della cartella esattoriale. Trattasi di un atto c.d. atipico che, laddove assimilato all’avviso previsto dall’art. 50, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973 (cd.”avviso di mora”) -atto rientrante nell’elenco di atti impugnabili innanzi alle commissioni tributarie previsto dall’art. 19, c. 1, D.Lgs. n. 546/92- risulterebbe impugnabile.
Sul punto la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi favorevolmente, benché in materia di tributi diversi (cfr. Cass. n. 22015 del 2006 e n. 22869/2004). Ciò in quanto a tali atti, a prescindere dalla loro denominazione, è possibile attribuire una natura sostanzialmente impositiva.
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