Referendum Costituzionale: più poteri al premier? E’ rischio autocrazia

La riforma della Costituzione pensata dal Governo Renzi, così come pubblicata in Guri n. 88 del 15 aprile 2016 dopo le prescritte due distinte votazioni da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, è al centro del dibattito politico in considerazione del referendum costituzionale di cui all’art. 138 Cost. che si terrà il 4 dicembre p.v.

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Le modifiche interessano una parte cospicua della Costituzione e, nonostante le dichiarazioni del Governo circa la non alterazione del sistema di governo, innescano sul punto perplessità non indifferenti anche alla luce di quanto sta accadendo in riferimento alle modifiche, seppure relative a materie di competenza legislativa ordinaria, all’impianto ordinamentale complessivo, dalla cui analisi non si può prescindere per ovvie ragioni di sistematicità.

Un premier con più poteri?

L’ampliamento dei poteri del premier si legge in via indiretta e non per espressa previsione, ma ciononostante non se ne può sottovalutare la portata. L’analisi degli articolati mette in luce infatti un panorama riconducibile ad un disegno che si integra perfettamente con un sistema a forte connotazione presidenziale, che fa addirittura temere l’autocrazia se letto in combinato disposto con la legge elettorale c.d. “Italicum” che prevede un premio di maggioranza al partito che ottiene un numero di voti di poco superiore al 25 per cento, a cui spetta, in omaggio al principio della governabilità, la guida del Paese. Alla classe di potere è deferito anche un ruolo decisivo nell’elezione del Presidente della Repubblica, nella scelta dei giudici della Corte Costituzionale e nella nomina del Consiglio Superiore della Magistratura, oltreché nella determinazione dell’indirizzo generale con particolare riguardo alle politiche di bilancio.

Il Senato delle Autonomie al posto del Senato della Repubblica

Come si è avuto modo di puntualizzare da parte di illustri giuristi, l’eliminazione del bicameralismo paritario più che rassicurare in ordine alla riduzione dei costi e allo snellimento procedurale dell’iter di formazione delle leggi, preoccupa per la semplice ragione che il Senato rimane in vita, con competenze e numero ridotti ma pur sempre in vita. Il Senato delle Autonomie sostituirà così il Senato della Repubblica con la conseguente eliminazione di uno dei contrappesi disposti dai Padri costituenti per arginare il rischio di una ricaduta in senso autoritario dello Stato.

Il regime elettorale cui esso va incontro è quanto meno inquietante atteso che si elimina l’elezione diretta da parte del popolo come suole in democrazia, per fare posto ad elezioni di secondo grado di competenza dei consigli regionali per eleggere alla carica consiglieri regionali e sindaci di comuni in misura di uno per ciascuno nell’ambito dei rispettivi territori. Il principio della sovranità del popolo subisce senz’altro una grave lesione che fa perdere al Senato il suo ruolo di bilanciamento e di moderazione in caso di eccessi da parte della Camera dei deputati.

E’ certo comunque che la confusione tra i ruoli, consiglieri o sindaci da una parte e senatori dall’altra, regnerà sovrana. Al Senato non compete inoltre l’espressione della fiducia al governo che è riservata alla Camera dei deputati. Né si intravede per esso uno spiccato ruolo con specifico riguardo alle materie di interesse delle autonomie locali tenuto conto che le leggi di bilancio sono riservate alla competenza della Camera e dunque si percepisce chiaramente lo svuotamento di contenuto di tale organo rispetto all’attuale. La trasformazione del ruolo del Senato ha riflessi sulla democraticità di tale organo e sulla rappresentatività politica dello stesso.

Il procedimento legislativo si complica e distingue tra leggi approvate dalla sola Camera dei deputati, sulle quali il Senato può richiedere il riesame, e  leggi di competenza di entrambe le Camere. Nell’insieme però non sfugge la perdita di valore del Senato anche se si inserisce il criterio della rappresentanza dei territori come elemento di partecipazione nella fase della formazione delle leggi che li riguardano. A tal proposito va però considerato che tutta la riforma, e in particolare quella del titolo V della Costituzione, è pervasa dall’esigenza di fare riassumere allo Stato  un ruolo centrale e di ridurre le competenze che con la riforma della Costituzione del 2000 sono state estese agli enti territoriali nella formulazione del decentramento.

La predominanza dell’Esecutivo sul Parlamento

In genere si osserva una predominanza dell’Esecutivo sul Parlamento così come emerge, oltreché dalla previsione di termini ristretti per l’esame e l’ approvazione delle leggi, come se si trattasse di un compito qualsiasi non avente influenza sulla qualità della produzione legislativa, e dalla previsione normativa che autorizza il Governo a richiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro 5 giorni dalla richiesta, che un disegno di legge, indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo, sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi, tra l’altro, i termini di cui all’articolo 70, terzo e quarto comma, che disciplinano la funzione legislativa e i rapporti con il Senato, sono ridotti della metà.

L’accelerazione delle procedure è un elemento che depone in senso contrario alla loro democraticità  poiché mette in secondo piano la qualità della normazione e, ciò che è ancora più importante, l’impatto che essa può avere sulla collettività.

Cosa cambia per i disegni di legge di iniziativa popolare

Di contro, per i disegni di legge di iniziativa popolare è previsto l’incremento a centocinquantamila delle firme per la loro presentazione rispetto all’attuale previsione pari a cinquantamila.

In conclusione, l’accentramento del potere nelle mani del leader del partito vincente, unito al procedimento di formazione delle leggi e alle strategie messe a disposizione del Governo per accelerare sulle leggi di iniziativa governativa, e in particolare su quelle indicate come essenziali per l’attuazione del programma di governo, nonché il quorum previsto per l’elezione del Presidente della Repubblica che si abbassa ai tre quinti dell’assemblea dal quarto scrutinio per arrivare ai tre quinti dei votanti dal settimo, la non diretta eleggibilità  del Senato e la riduzione delle sue competenze, la svalutazione del Parlamento con il contingentamento delle procedure, l’eliminazione dei contrappesi per evitare le derive in senso autoritario del potere, non lasciano sperare nulla di buono da questa riforma della Costituzione, sebbene essa sia presentata dal Governo come la panacea di tutti i mali, e mettono in luce le storture di un sistema che tende chiaramente a ridurre le istituzioni democratiche e ad offuscare tale obiettivo attraverso la corsa al cambiamento a tutti i costi  lasciando però intuire che l’obiettivo vero è la trasformazione del sistema per consentire la facile governabilità ad una oligarchia contro le aspettative del popolo sovrano.

Lucia Maniscalco

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