L’uomo assume una “maschera” nella società; che insieme con la sua reputazione, lo fa diventare prima “centomila” e infine “nessuno”. L’elenco delle persone che sono state lese dalla pubblicazione del proprio materiale privato sul web è oramai lungo.
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Dalla triste storia di Tiziana Cantone fino a risalire a quella di Carolina Picchio, senza dimenticare il recente caso delle foto “hackerate” della giornalista Diletta Leotta.
Che cosa è il Diritto all’Oblio
Con il dritto all’oblio si intende il diritto riconosciuto a ciascun individuo, protagonista di un fatto di cronaca, di pretendere ed ottenere la rimozione dal web, del materiale sconveniente e dannoso che lo riguarda. Tale diritto è stato definito compiutamente nella nota sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso Google Spain del 2014.
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Nella pronuncia viene puntualizzato che l’attività di un motore di ricerca, ha a che fare necessariamente con il trattamento di dati personali. Risulta impossibile quindi che Google Spain, soggetto alla legislazione europea, si sottragga dall’obbligo di rimuovere dall’elenco dei risultati i link “incriminati”, qualora l’interessato non ne approvi la circolazione e qualora essi non siano più di attualità.
Sulla scorta di quanto statuito dalla Corte di Giustizia, la prima sezione civile del Tribunale di Milano, con sentenza depositata il 28 settembre 2016, si è occupata del diritto all’oblio. Il tribunale di merito ha infatti stabilito che viene meno l’interesse pubblico all’informazione giornalistica se, con il passare del tempo, i dati personali oggetto di un articolo non risultano più aggiornati e pertinenti. Da qui il riconoscimento del diritto di ottenere dal motore di ricerca la deindicizzazione del relativo link, facendolo così scomparire dai risultati di ricerca.
La vicenda
La vicenda che ha originato la causa risale al 2010. Un’alta dirigente della pubblica amministrazione aveva ritenuto lesivo della propria immagine, un articolo pubblicato da un quotidiano italiano, nel quale si asseriva che il suo incarico fosse dovuto alla raccomandazione di un importante politico piuttosto che alle sue qualità professionali.
Successivamente la lite aveva trovato una soluzione tramite una transazione grazie alla quale l’articolo era stato rimosso dalla pagina online del quotidiano. Nonostante ciò 2 anni più tardi, il medesimo articolo era stato postato di nuovo da un blog e compariva tra i primi risultati di ricerca di Google se si digitava il nome della protagonista.
Come tutelarsi e chiedere di scomparire dai motori di ricerca
In prima battuta si può fare richiesta direttamente a Google, e compilare un modulo online fatto ad hoc. Dopo aver inserito i propri dati, la url della pagina indesiderata e una copia del proprio documento di identità si potrà richiedere la rimozione dell’indicizzazione del materiale che si reputa lesivo della propria immagine.
Se la richiesta non dovesse essere accolta, allora si potrà ricorrere al Garante della Privacy che avrà 60 giorni per poter esaminare il caso e e decidere nel merito. In alternativa ci si potrà comunque rivolgere direttamente al giudice ordinario. Bisogna in ogni caso precisare che non si avrà sempre titolo per rimuovere foto, video o articoli.
Un limite al diritto di oblio
Un limite al diritto di oblio è certamente costituito dall’interesse pubblico che costituisce il fulcro del diritto di cronaca e dal quale consegue il rifiuto della richiesta di cancellazione, ove la persona coinvolta sia un personaggio pubblico. Purtroppo il vero ostacolo per i privati cittadini è costituito dalla possibile viralità dei contenuti presenti sul web (si pensi al caso emblematico di Tiziana Cantone).
Una volta che le foto e i video saranno presenti all’interno di una miriade di siti internet, anche dopo aver eliminato l’indicizzazione dai motori di ricerca, risulterà praticamente impossibile ottenere la rimozione.
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