Referendum costituzionale, il requiem dei partiti

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Altro che merito: i partiti non contano più e il voto del 4 dicembre è pro o contro Renzi. Che promette di tutto a chiunque pur di vincere.

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I partiti in Italia non esistono più.

Morti, sepolti, spazzati via dalla bufera di una nuova politica ormai totalmente concentrata sulle prerogative del capo, o del metodo più veloce per buttarlo giù del trono. Si dice che i partiti politici stiano attraversando una crisi profonda in tutto l’Occidente: ma da noi, dove questo processo è incominciato con netto anticipo all’inizio degli anni ’90, siamo arrivati al culmine.

Abbiamo celebrato il funerale dei partiti senza accorgercene, e adesso siamo alle prese con simboli svuotati di senso, eletti nominati dalle segreterie e programmi improvvisati. Ne sono espressione governi senza nome né colore, figli solo della contingenza – e convenienza – politica del momento, la cui legittimità sussiste sul ciglio della pratica istituzionale, ma certamente non nelle prerogative del popolo elettore.

Se i partiti erano quei soggetti in grado di organizzare la proposta di cambiamento della società, difendendo gli interessi di certi gruppi sociali, oggi quel che ne resta non è altro che una congrega di incravattati pronti a difendere il proprio leader e di riflesso la propria posizione e visibilità sociale. Di contro, scopo delle altre realtà politiche non è altro che la sostituzione dell’attuale sistema di potere con un altro del tutto simile, ma a ruoli invertiti.

Sì o no?

Della fine dei partiti ne abbiamo un chiarissimi esempio ogni volta che ascoltiamo il dibattito sul referendum. Nei giorni scorsi, il fronte del No si è radunato per la prima volta e all’interno della stessa stanza si trovavano personaggi come Massimo D’Alema, Paolo Cirino Pomicino, Gianfranco Fini, Pippo Civati e Lamberto Dini solo per dirne alcuni.

Tutti, nemici acerrimi nel corso delle battaglie più o meno recenti e oggi dalla stessa parte della barricata sul tema referendum. In questi pochi nomi, del resto, sono rappresentati Pci, Pds, Ds, Pd, Msi, Pdl, Forza Italia, Rinnovamento Italiano, Fli, liberali, Possibile…e sono solo alcune delle sigle radunate contro la legge Renzi-Boschi. Con nessuna cura rispetto a quanto, proprio lo stesso D’Alema, propugnava nei tardi anni ’90, da capo del governo e della commissione Bicamerale, quando molti punti di proposta – poi fallita – erano in contatto con la riforma che oggi si prende a bersaglio.

Sull’altro lato del fiume, le cose non vanno molto diversamente: ormai solo contro tutti, il premier Matteo Renzi ha dapprima personalizzato il referendum – “se perdo lascio la politica” – poi, preoccupato dai sondaggi, ha pensato di autoinvitarsi a tutti i talk show per spiegare la riforma nel merito, articolo per articolo, anche confrontandosi con esimi professori universitari. Peccato, però, che nel frattempo abbia annunciato prestito pensionistico, aumento delle pensioni minime, concorsi per 10mila posti nella pubblica amministrazione, abolizione di Equitalia e una revisione della pessima legge elettorale dell’Italicum.

Tutto, ovviamente, con i fari ben puntati sul 4 dicembre, quando si giocherà il destino politico della legislatura e allo stesso tempo di questa scalcagnata classe politica. Alla faccia della volontà di “spersonalizzare” il referendum, insomma: nonostante gli sforzi, ormai sarà un voto pro o contro Renzi. E la direzione del Pd dei giorni scorsi lo dimostra: una recita con ruoli predefiniti, in cui il segretario-presidente del Consiglio ha battuto i pugni sul tavolo, mentre la minoranza – anche in questo caso, un’etichetta che è già un programma di insuccesso – ha espresso i soliti distinguo che, come direbbe Bob Dylan, “soffiano nel vento”.

Le uniche posizioni esistenti oggi, allora, sono tra chi ha una posizione – e interessi – da difendere, e chi invece punta a modificare l’ordine esistente per riguadagnare un posto al sole.

Si è sempre detto, negli anni scorsi, che i partiti, all’apice della loro rilevanza storica, con le loro visioni particolari, fossero in realtà la rovina della democrazia, non essendo in grado di conciliare le tante prerogative in gioco. Ma di fronte all’irrilevanza attuale, e all’eccesso di personalismi di questa epoca, viene nostalgia del confronto aperto ma onesto, della lotta per un ideale e, in una parola, della passione civile ormai rimpiazzata da rivalse, vane promesse e meri opportunismi.

Francesco Maltoni

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