Con una recentissima sentenza (n. 1249/2016) il TAR di Palermo, nel trattare l’ennesimo ricorso sul tema caldissimo tema della formazione professionale ha disposto, “In ragione dell’emersione, nel corso del presente giudizio e sulla base alla documentazione prodotta, di evidenti omissioni, aggravate dal mancato riscontro alle diffide presentate dall’ente ricorrente, da parte dell’Assessorato intimato nell’esercizio delle attività di verifica della sussistenza dei presupposti per l’ammissione al finanziamento della cooperativa Insieme per la Formazione…”, la trasmissione degli atti di causa e dell’emessa sentenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo per quanto di rispettiva competenza.
La questione merita di essere evidenziata non solo perchè incide sul curriculum della pluridecorata Patrizia Monterosso, oggi Segretario Generale della Presidenza della Regione. I Funzionari dell’Amministrazione regionale sono, infatti, ancora una volta tacciati d’infedeltà alla Repubblica, cioè quella medesima fedeltà richiesta dalla Costituzione a tutti i cittadini in generale ed a coloro cui sono affidate funzioni pubbliche in particolare. In quest’ultimo caso, la Costituzione richiede che l’esercizio delle funzioni pubbliche sia assicurato con disciplina e onore. Nel tempo, l’ordinamento ha pure richiesto al funzionario pubblico di garantire l’impegno pubblico con onore, diligenza ed etica professionale.
All’obbligo generale di fedeltà va riconnesso un duplice significato: negativo, come obbligo di astenersi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi fondamentali della Repubblica; ma anche positivo, come regola di condotta che impone di operare con la consapevolezza e la volontà di custodire tali interessi.
Rispetto a questo quadro valoriale di riferimento, troppo spesso dimenticato dai diretti interessati, chi esercita una funzione pubblica (legislativa, giudiziaria, amministrativa) sa di dover curare nel migliore dei modi i sottesi interessi pubblici, senza mai ledere immotivatamente i legittimi interessi privati né, tanto meno, i diritti eventualmente soggettivi di questi ultimi. Postulato di questa cornice è che la P.A. non deve essere considerata come un circolo privato sprovvisto di regole ma, al contrario, come uno strumento che cittadini e imprese finanziano, con non pochi sacrifici mensili, attraverso la propria fiscalità.
Tornando al caso in specie, il TAR non ha potuto non rapportare la competente Autorità Giudiziaria del silenzio manifestato dal Dipartimento regionale alla Formazione professionale, dimostratosi sordo e indifferente alle ripetute richieste di controllo notificate allo stesso da un soggetto interessato al procedimento amministrativo. Questa tipologia di silenzio, indagata dal TAR, non è quella più nota del silenzio-assenso, né quella del silenzio-rigetto, ma quella più deplorevole del silenzio-arrogante. Trattasi di una forma particolare di silenzio che oltre ad incidere sulla legittimità del procedimento amministrativo configura quella violazione dei doveri d’ufficio tipizzata dal Codice Penale agli articoli 323 e 328.
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