Dopo militari, polizia e magistrati, è il mondo della scuola, sia pubblica che privata, al centro del mirino del governo di Erdogan.
E ora, quale scenario si prospetta? Ce ne parla il direttore di una prestigiosa scuola privata di Istanbul, di cui non riportiamo il nome per motivi di sicurezza.
1) Che cosa è avvenuto realmente in Turchia? Crede anche lei alla teoria del golpe architettato ad hoc per aumentare i consensi al governo di Erdogan?
E’ difficile da dire, a mio parere non si è trattato di un golpe fasullo. Molte persone a me vicine dubitano che sia stato reale, in ogni caso nessuno se lo aspettava.
Sono diversi gli elementi che fanno dubitare la gente: prima di tutto il periodo in cui è stato fatto, ossia l’inizio delle vacanze, con le città vuote e le famiglie in partenza. Secondariamente, il fatto che non siano stati bloccati i media, tutto ha continuato a funzionare normalmente. Infine, il golpe è stato fatto di sera, altro elemento che mette in dubbio la ‘veridicità’ dell’atto, mentre ad esempio il golpe degli anni 80’ era stato fatto di giorno (ndr, Colpo di Stato Turco del 12 settembre 1980, diretto dal Capo di Stato Maggiore Generale Kenan Evren).
Al di là di queste considerazioni, non credo sia stato un colpo di stato falso, ma credo che sia semplicemente mal riuscito o mal organizzato.
2) Secondo lei le ultime notizie che hanno coinvolto il governo di Erdogan erano dei segnali premonitori?
Mi riferisco alla nomina a nuovo capo del governo di Binali Yildirim, fedelissimo di Erdogan, all’incremento della pressione militare sui curdi armati del Pkk, rafforzando la repressione. E poi ancora, all’annuncio della riappacificazione con Israele a seguito della spaccatura scaturita dall’attacco al convoglio navale pacifista turco, che ha causato 9 morti; all’invio della lettera di scuse di Erdogan al presidente russo Putin dopo il raffreddamento dei rapporti tra i 2 Paesi seguito all’abbattimento del cacciabombardiere moscovita sopra la Siria; alla ripresa di un ruolo centrale nella NATO da parte della Turchia, senza contare poi l’avvicinamento di Erdogan al regime siriano di Bashar al Assad, fino a poco tempo fa considerato un acerrimo nemico.
Sicuramente le ultime mosse di Erdogan sono state avvisaglie del cambiamento islamista in atto, a partire dai rapporti con gli altri Stati fino a toccare la società civile. Il senso di discontento, infatti, tra le classi più progressiste, era già avvertibile prima del mancato colpo di Stato.
3) Lei che è a diretto contatto con le nuove generazioni turche, che clima si respira ora in Turchia? Come vede la reazione dei giovani studenti rispetto agli accadimenti che stanno attraversando il Paese?
La maggior parte degli allievi delle scuole straniere appartiene alle élite kemaliste, per cui la reazione predominante è di totale disperazione. Un segno indicativo è che mentre prima, tra gli studenti che si diplomavano, erano al massimo un 10-15% quelli che decidevano di frequentare l’Università all’estero, ad oggi la percentuale è più che raddoppiata. Ha raggiunto circa il 40% la quota dei miei studenti che hanno deciso di partire perché non vogliono vivere in un Paese con una deriva islamista.
In alcuni quartieri la pressione sociale si riversa soprattutto sulle donne: sono diverse, infatti, quelle tornate ad indossare il velo, escono di meno e non bevono in pubblico, mentre fino a pochi giorni fa erano comportamenti del tutto comuni.
Anche il turismo è cambiato: l’apertura verso gli Stati Arabi ha intensificato la presenza di turisti arabi e questo in parte influisce sulla mentalità. Prima negli alberghi non vedevi donne velate alla reception, ora le vedi; nei menù dei ristoranti molti alimenti sono stati tolti: tutti segnali di un cambiamento in atto a partire proprio dalla gestione della vita quotidiana.
4) Da quanto emerge dall’esito fallimentare del golpe e dalle reazioni successive appare chiaro che la Turchia di oggi sia un Paese profondamente diviso tra Kemalisti a favore dalla laicità dello Stato ed Erdoganisti pro Islam politico.
Oggi sono ancora sentite, secondo lei, le basi del ‘manifesto’ kemalista di riforma sociale e culturale del Paese contro la chiusura islamica oppure la religione sta sempre più assumendo un ruolo centrale di compattamento e strumento politico intorno all’Akp?
L’Akp è la corrente più forte, e ad oggi sicuramente quella prevalente. La repressione politica è estremamente potente, sta prevalendo la rassegnazione e non soltanto tra le élite kemaliste. Noi europei siamo in qualche modo più protetti, quello che rischiamo è al massimo l’espulsione. I turchi più liberali che ad oggi vogliono lasciare il Paese, invece, faticano ad ottenere il visto. La repressione in atto sta colpendo principalmente i militari e i giudici, ma come dimostrano le epurazioni di questi giorni i prossimi saranno gli intellettuali.
L’organo costituzionale responsabile della supervisione delle Università turche (Yok) ha, infatti, chiesto le dimissioni di tutti i 1.577 tra presidi, decani e rettori universitari. Tra questi, 1.176 appartengono ad Università pubbliche, i restanti a fondazioni universitarie. Sono più di 15.200, poi, gli impiegati e i funzionari del ministero della Pubblica Istruzione che sono stati sospesi con effetto immediato. Il ministero dell’Educazione ha, invece, revocato la licenza d’insegnamento a 21mila docenti di scuole private.
5) Alla luce dei recenti episodi, non crede che l’Europa abbia giocato un ruolo indirettamente favorevole a questa deriva islamista? E come valuta un ipotetico ingresso della Turchia nell’Unione Europea?
Sì, è quello che credo: l’Europa non ha aiutato la Turchia. E’ dal 2005 che si rimandano i negoziati per la piena adesione al consesso europeo, se ci fosse stato l’ingresso in Europa, la Turchia non sarebbe quello che è oggi. Alla volontà di Erdogan di entrare nella Ue, l’Europa ha risposto chiudendo molte porte, ora Erdogan guarda sempre di più agli Stati arabi.
Ad oggi, un eventuale ingresso è uno scenario del tutto impossibile: i diritti dell’uomo sono ridotti, vige la censura, le libertà di stampa e di espressione non esistono più. Questo scenario, però, non è esploso ieri: l’Europa non ha mai preso una posizione netta di contrasto a queste derive islamiste in quanto la Turchia è sempre stato un Paese cuscinetto per quanto riguarda la gestione dei rifugiati siriani. Voglio ricordare che i rifugiati presenti in Turchia sono più di 3 milioni e mezzo, e questo viene sfruttato dall’Europa.
6) Come vive la comunità europea questa situazione?
Un sentimento generalizzato di sgomento e rassegnazione. La maggior parte degli stranieri vuole andare via. Nella mia scuola sono 10 i professori che se ne sono già andati, chi doveva venire ha deciso di non farlo. Io sono in Turchia da 16 anni, da 13 abito ad Istanbul e da 4 sono alla direzione di una scuola privata. Quando sono arrivato il clima che si respirava era di maggiore apertura, tolleranza e laicità.
Non bisogna, però, ridurre tutto ad una semplicistica demonizzazione di Erdogan. Va sottolineato che per alcune classi sociali ha fatto molto, dando voce alle frange meno privilegiate. Anche le stesse élite kemaliste non sono state escluse dalla ricchezza raggiunta negli ultimi anni, quando il tasso di crescita marciava a un +10% annuo.
In più Erdogan proviene da una famiglia umile, prima di diventare primo ministro è stato sindaco di Istanbul, conosce la realtà della città e le sue differenziazioni sociali; ha saputo raccogliere il consenso di moltissime parti della popolazione, soprattutto quelle delle periferie e delle campagne, che si riconoscono in lui e nella sua politica.
Lo stesso sistema kemalista è un sistema artificiale, ossia costruito ad hoc per aprire il Paese alla laicizzazione e all’Occidente, e come tale funziona solo se l’Europa riconosce la Turchia senza cancellarne la cultura. L’Europa, pertanto, è colpevole quanto Erdogan di questa deriva autoritarista.
Io, pur essendo straniero, ho sempre pensato di trascorrere la mia vecchiaia ad Istanbul, città che amo profondamente e che vivo quotidianamente da 13 anni. Ad oggi sono costretto a fare i conti con una realtà stravolta, la città sta radicalmente cambiando volto e questo, non senza dolore, mette in serio dubbio la scelta di restare.
Il passato non tornerà più, il futuro è un’incognita.
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