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L’intervista autocelebrativa e le sue conseguenze
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L’avvocato aveva rilasciato l’intervista a un periodico mensile all’inizio del 2009, e nell’occasione si era vantato di aver fondato uno studio “fucina di professionisti”, di essere “sempre in giro per il mondo”, di passare “da un consiglio di amministrazione all’altro”, e di avere avuto così tante esperienze da “poter scrivere un libro su tutte le cose che ha fatto”, incluso “salvare un signore che era rovinato dagli strozzini”. Tali frasi, e il contenuto dell’articolo in genere, erano state considerate una violazione dei principi 17, 17 bis e 18 del Codice Deontologico Forense dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Per queste violazioni l’avvocato era stato sanzionato dal COA con la pena della censura.
Il professionista aveva immediatamente proposto ricorso sostenendo che l’articolo non era stato da lui autorizzato, e che le frasi che facevano riferimento ad aspetti personali della sua vita erano state suggerite dall’intervistatore. L’avvocato sosteneva inoltre che tutte le frasi che non erano riportate tra virgolette erano da considerarsi opinione personale dell’autore dell’intervista e che i passaggi contestati come autocelebrativi si riferivano in realtà semplicemente alla sua soddisfazione professionale e di vita. Infine, veniva sottolineato come la posizione del COA “poteva essere in contrasto con la c.d. legge Bersani e portare ad una violazione del principio costituzionale di libertà di espressione“.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio Nazionale Forense, dopo aver udito la posizione dell’estensore dell’articolo, ha confermato che nel rilasciare l’intervista l’avvocato ha violato i principi 17 e 18 del Codice Deontologico e ha inflitto al professionista la sanzione dell’avvertimento. La riduzione della sanzione da censura ad avvertimento è stata motivata dal fatto che la violazione del principio 17 bis inizialmente rilevata dal COA (la mancata indicazione del Consiglio dell’Ordine di appartenenza) non sussisteva.
Confermata dunque la condanna di una pubblicità a mezzo stampa autoelogiativa e comparativa, che, si legge nella sentenza, non è conforme “alla dignità e al decoro professionale” e “lascia intendere che altri avvocati non si informino o non si documentino adeguatamente”. La legge Bersani, specifica il Consiglio Nazionale Forense, consente non una pubblicità indiscriminata ma solo “la diffusione di specifiche informazioni sull’attività”.
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