In queste settimane tutte le scuole statali sono impegnate a gestire la difficile operazione del ‘merito’, o meglio, l’erogazione dell’apposito fondo di 200 milioni di euro istituito dalla legge 107/2015 (la c.d. “Buona Scuola”) per valorizzare e incentivare i docenti meritevoli.
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La legge individua alcuni parametri di massima (articolati in 3 aree – la qualità della didattica, la partecipazione al miglioramento, la formazione in servizio e il coordinamento) e affida poi la procedura di assegnazione degli incentivi economici a una ‘valutazione motivata’ del dirigente scolastico, sulla base dei criteri definiti dal Comitato di valutazione dell’istituto. Si tratta di un approccio sperimentale, che vale per i prossimi tre anni, al termine dei quali il Miur tirerà le somme del lavoro delle scuole e adotterà un protocollo di carattere nazionale, sentite le parti sociali.
Sono numerose le questioni tecniche che i Comitati si sono trovati di fronte e non sempre le Faq del Miur hanno chiarito i molteplici dubbi. Qual è la platea auspicabile dei beneficiari? Quali le ‘evidenze’ oggettive che dovrebbero accompagnare la valutazione del dirigente? Quale il ruolo dei genitori e degli studenti? Quali i meccanismi docimologici per riconoscere il merito? Si confrontano ipotesi diverse: premiare i singoli docenti oppure dare la precedenza a imprese collaborative?
Riconoscere la qualità del lavoro svolto (a consuntivo) oppure definire e negoziare (in anticipo) i comportamenti professionali ‘virtuosi’ che si vogliono stimolare, premiando di conseguenza chi li mette in pratica? Condividere le scelte con il collegio dei docenti oppure riservare la procedura in autonomia al dirigente scolastico? E ancora, quale ruolo attribuire alla negoziazione di istituto con le rappresentanze sindacali, anche se la norma sembra escluderlo? Come differenziare le finalità del ‘fondo per il merito’ da quelle del ‘fondo di istituto’? Alias: quale rapporto intercorre tra aspetti quantitativi (il tempo dedicato a un impegno) e aspetti qualitativi (il valore dell’attività svolta).
Dubbi a cui nemmeno il Miur ha saputo offrire una sponda sicura con la nota 1804 del 19-4-2016, da tutti auspicata e richiesta, ma poi passata quasi sotto silenzio. Il Miur ha avviato una prima forma di monitoraggio per rilevare le scelte che i comitati di valutazione e i dirigenti scolastici stanno adottando in materia. Anche l’Indire ha allestito alcuni spazi on line utili ad alimentare il dibattito e l’approfondimento e la successiva documentazione delle buone pratiche.
Nel frattempo prosegue nel Paese la raccolta di firme per sottoporre a referendum abrogativo alcune parti della legge 107/2015, a partire proprio dal meccanismo di assegnazione del bonus per il merito. Dunque, la questione è assai ‘calda’ e del tutto aperta, e rivela un diffuso disagio tra gli operatori scolastici: molti temono l’emergere di una competizione tra docenti, capace di mettere a rischio la ‘tenuta’ della comunità scolastica. Le migliori scuole, dice la ricerca internazionale, sono quelle che promuovono il lavoro collaborativo e le imprese d’équipe. Ma è lo stesso concetto di ‘merito’ a finire sul banco degli imputati; e dire però che sono gli stessi insegnanti a ispirare i loro criteri valutativi nei confronti degli allievi a principi di equità e meritocrazia.
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Come stanno le cose? Il paradigma del merito è accettato nel nostro Paese? Si ritiene che una società sia più giusta se “vanno avanti i migliori” e non solo coloro che hanno alle spalle un retroterra sociale e culturale adeguato? Quali sono le controindicazioni di una competizione per il merito? E cosa sta accadendo nelle scuole, in relazione all’erogazione del bonus?
A queste domande offre risposte molto articolate il numero monografico di “Rivista dell’istruzione” (n. 2, marzo-aprile 2016, edizioni Maggioli) quasi interamente dedicato al tema del merito, nei suoi risvolti teorici e operativi, con numerosi interventi a opera di esperti (Oliva, Barone, Gavosto) e di rappresentanti delle scuole (Pedrelli, Spinosi, Ferraro).
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