Con la sentenza n. 32 del 26 aprile 2016, la Sezione giurisdizionale per l’Umbria fa proprie le conclusioni della Procura contabile in ordine alla fattispecie di danno erariale per i canoni pagati dall’ università nel periodo dal novembre 2008 al giugno 2010, in conseguenza di una scelta “incongrua, antieconomica e irrazionale”, consistente nella stipula di un contratto di affitto per un immobile che sarebbe poi stato utilizzato solo in minima parte per esigenze istituzionali.
La complessa vicenda riguarda l’uso di locali destinati alla struttura un centro ricreativo, che per questioni sopravvenute non fu possibile realizzare.
Il collegio ripercorre meticolosamente l’istruttoria posta in essere dai vertici dell’ateneo in relazione all’iniziativa, e pur rispettando la scelta di merito perviene alla conclusione che l’iter rifletta “un grado di attenzione, avvedutezza, prudenza e massimizzazione valutativa degli interessi pubblici perseguiti non adeguato all’importanza degli interessi stessi”.
Lo schema di contratto deliberato dall’Università e finito sotto la lente del giudice contabile riguardava un immobile con destinazione commerciale, ma privo di gestore e in condizioni tali da non rendere plausibile un’immediata ripresa commerciale.
In tale contesto i giudici osservano che, una volta venuta meno l’idea di affittare l’azienda ma non i locali in cui essa aveva espletato la sua attività, “non risulta che siano stati compiuti approfondimenti istruttori sulle modalità di utilizzo, sia imprenditoriale che istituzionale, della parte preponderante dell’immobile” che non è stato possibile adoperare per gli uffici del centro ricreativo.
Il collegio non si limita a censurare la condotta degli imputati, ma indica anche la direzione in cui si doveva orientare l’azione amministrativa, cioè valutare con attenzione i tempi necessari per l’individuazione del sublocatario e determinare gli specifici contenuti dell’interesse pubblico perseguito, da tradurre poi in obblighi prestazionali da mettere in gara, anziché vincolare da subito l’Università con il proprietario dell’immobile senza considerare le necessarie cautele negoziali dell’interesse pubblico.
In altre parole la vicenda in esame denota, ad avviso dei giudici, una gestione approssimativa e poco avveduta della cosa pubblica.
Di qui la condanna dei vari soggetti coinvolti per importi che vanno dalla somma pro-capite di 9.187 euro a carico dell’ex rettore (ora ministro) e del direttore amministrativo, alla somma di 3900 euro per i componenti del Cda dell’ateneo.
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