Al via un’inedita strategia degli agenti per assicurare un più attento e consapevole approccio alle vittime dei sinistri stradali. Con la supervisione scientifica della Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università di Roma, le linee guida raccontano tante esperienze drammatiche, vissute da poliziotti e vittime, per costruire, anche dagli errori, una solidarietà più autentica e consapevole.
“Vogliamo trasformare radicalmente l’approccio all’incidente stradale” con questa “mission” Roberto Sgalla, capo delle specialità della polizia, ha presentato il presentato il nuovo – e per certi versi rivoluzionario – Progetto Chirone, un manuale dedicato agli operatori di polizia volto ad assicurare un più attento e consapevole approccio psicologico alle vittime degli incidenti sulle strade e sui binari.
“L’imbarazzo del poliziotto davanti a un’incidente stradale – spiega infatti Elisabetta Mancini, dirigente della polizia ferroviaria – è totale: è facile pensare che con tutto il suo lavoro di prevenzione non è riuscito a impedire la morte della persona che ha davanti. Ma la morte avvenuta ormai è un dato di fatto e il compito affidato al poliziotto ora deve essere quello di traghettare la vittima attraverso questo percorso di dolore”.
Ovvio i poliziotti non sono psicologi e per questo il progetto nasce con la supervisione scientifica della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza, Università di Roma, che aiutano attraverso le esperienze drammatiche, vissute da poliziotti e vittime, a costruire una solidarietà più autentica e consapevole.
Un progetto che si affianca a quello Ania Cares – per ora legato al numero 06 3268859306 32688593 – per arrivare nei prossimi mesi a mettere in campo una rete di psicologi a livello nazionale che saranno reperibili 24 ore su 24 per dare assistenza ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime da incidenti stradali.
Già, ma “come prepararsi – spiegano alla polizia – a suonare un campanello che cambierà, in un attimo e per sempre, la vita di una famiglia a cui viene portata la notizia di un incidente mortale? Come aiutare un genitore che non riesce neanche a riconoscere il corpo di un figlio tanto grande è il dolore che sta provando? Come gestire il senso di colpa del familiare di chi ha deciso di suicidarsi gettandosi sotto ad un treno? Come alleviare la solitudine delle vittime mantenendo con loro un rapporto che le tenga informate dell’evoluzione (anche giudiziaria) della vicenda dopo l’evento tragico?
Risposte difficili a cui prova a rispondere proprio il progetto Chirone (a proposito, il nome arriva dalla mitologia greca, è il Centauro più saggio e compassionevole, medico ed educatore, sempre pronto a soccorrere il prossimo anche a rischio della propria vita). Abbiamo parlato di rivoluzione. E il termine si riferisce proprio a cambiare quello che spesso di è fatto in passato, quando si pensava che l’attenzione del poliziotto si dovesse concentrare solo sul colpevole e che la vittima dovesse essere gestita esclusivamente da assistenti sociali e psicologi. Ora no: il poliziotto cambia in un certo senso ruolo, anche perché è la prima persona che la vittima incontra e la qualità del suo intervento ha un’importanza decisiva per evitare la cosiddetta “vittimizzazione secondaria” (cioè l’esposizione ad esperienze che amplificano le conseguenze tragiche di quanto è già accaduto), “per guadagnarne la fiducia – come spiegano gli psicologi dell’Università – e la collaborazione, fondamentali nella ricostruzione dell’evento, e per contenere il senso d’insicurezza provocato dalle morti violente in tutta la comunità coinvolta”.
In realtà il poliziotto già adesso svolge questa funzione, ovvio. Ma questa (bella) iniziativa riesce a dare dignità e cultura ad un lavoro svolto spesso in silenzio. E poi aiuta l’agente a conoscere “il ventaglio di emozioni – sempre per usare termini scientifici degli psicologi – che il contatto improvviso con la morte provoca nel sopravvissuto all’incidente o nel familiare della persona deceduta: paura, pianto, stordimento fino allo shock e al congelamento delle emozioni, perdita di controllo, rabbia, aggressività, senso di colpa, vergogna, negazione. E il poliziotto deve saper proteggere, ascoltare, informare, sempre conscio che il suo comportamento è decisivo per aiutare la vittima a riprendere il controllo e, successivamente, ad elaborare il lutto”.
La formazione si sa, è tutto. E non solo negli incidenti stradali. Ma un buon approccio con la vittima spesso è anche un modo per sostenere lo stessopoliziotto che si trova a gestire situazioni così drammatiche che lo possono “spezzare”, sia nella sua vita professionale che privata. Una sorta di Giano bifronte dell’assistenza post incidente, per dirla con la mitologia chiamata in causa dal progetto Chirone.
Fonte: www.repubblica.it
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