Innanzitutto che cos’è il contratto a favore di terzo?
È quel contratto che in genere si configura mediante una clausola di deviazione apposta ad un altro contratto principale, con cui lo stipulante, assumendosi gli obblighi verso il promittente, devia la prestazione a lui dovuta da quest’ultimo a favore di un soggetto terzo.
Esempio tipico, in particolare nella prassi notarile, è il contratto che conclude il padre per comprare casa alla figlia.
Il terzo resta estraneo al contratto, ovvero non è parte dello stesso, tant’è vero che nel caso in cui rifiuti la prestazione del promittente essa dovrà essere eseguita a favore dello stipulante.
Da questa breve sintesi appare evidente come il contratto a favore di terzo, non essendo un contratto tipico, si innesti su un contratto con una causa diversa.
La peculiarità di tale contratto va rintracciata nel fatto che deroga all’antico principio alteri stipulari nemo potest (Quinto Mucio Scevola) ovvero alla relatività degli effetti contrattuali sancito dall’art. 1372 c.c., poiché appunto produce effetti nei confronti di un soggetto terzo rispetto al rapporto contrattuale, purchè, ai sensi dell’art. 1411 c.c., sussista un interesse (anche non patrimoniale) dello stipulante.
Tale fattispecie è pacificamente applicabile ai contratti a effetti obbligatori: ad esempio nell’appalto il committente può obbligarsi al pagamento dell’appaltatore a che questi a sua volta adempia la sua prestazione a favore di un terzo. La prestazione dovuta al terzo causalmente si regge comunque sul rapporto tra committente ed appaltatore, ovvero sul rapporto intercorrente tra le due parti del contratto.
Come si è visto, è facile descrivere il contratto a favore di terzo laddove riguardi rapporti a prestazioni corrispettive.
Ciò che interessa al presente studio è domandarsi se sia possibile utilizzare tale istituto nei contratti ad effetti reali. In definitiva, il padre che vuole acquistare casa alla figlia può stipulare una compravendita a favore della stessa?
Come sottolineano gli studiosi (Majello), il problema dei contratti traslativi a favore di terzo va rintracciato nel fatto che nel nostro ordinamento vige, ai sensi dell’art. 1376 c.c., il principio consensualistico. Ciò significa che in una compravendita gli effetti del contratto si producono immediatamente alla stipula dello stesso tra le parti, in forza della semplice prestazione del consenso.
Se quindi l’effetto principale della compravendita consiste nel trasferimento del diritto di proprietà in capo all’acquirente, tale effetto come potrebbe prodursi nei confronti di un soggetto terzo, che non è parte dell’atto? Come potrebbe, in sostanza, trasferirsi il diritto di proprietà al terzo quando esso passa istantaneamente alla conclusione del contratto dal venditore all’acquirente?
Tale considerazione è difficile da obiettare e porterebbe a dire che in linea teorica sarebbe inammissibile una clausola di deviazione in una compravendita o in qualunque altro contratto traslativo.
Tuttavia la Cassazione si è più volte pronunciata in materia di contratti a favore del terzo aventi ad oggetto diritti reali sebbene non abbia mai ammesso espressamente un contratto traslativo della proprietà a favore di terzo.
I casi in questione riguardavano la costituzione di diritti reali, per lo più di servitù. Il principio fissato dai giudici è stato quello in forza del quale “nel contratto a favore di terzi non sussistono limiti in ordine alla qualità ed al contenuto della prestazione da farsi al terzo: questa può consistere in un dare, in un facere, in un non facere presente o futuro, o anche nella costituzione di un diritto reale” (si veda in particolare Cass. 3050/1982; di seguito Cass. 1842/1993, Cass. 10612/1991, Cass. 7026/1986, Cass. 6688/1986).
Come si vede, è vero che in tali pronunce si legittima solo l’utilizzazione del contratto a favore di terzo per la costituzione di diritti reali, ma allo stesso tempo è ampliata molto l’applicabilità di tale istituto senza definirne con precisione i limiti.
La configurabilità di una compravendita a favore di terzo appare quindi ancora dubbia, per le ragioni sopra esposte.
Un punto d’incontro va rinvenuto nella possibilità di stipulare un preliminare a favore di terzo. In tal modo il contratto a favore di terzo non viene applicato ai negozi traslativi ma allo stesso tempo lo stipulante può assicurare al terzo il diritto a concludere una futura vendita (Cass. 9500/1987).
La Cassazione ha inoltre favorevolmente accolto la possibilità per il terzo di ottenere una sentenza in luogo di adempimento (Cass. 6139/1979).
In tal modo, nell’esempio fatto in precedenza, il padre non acquisterà una casa per la figlia mediante un contratto che trasferisca il diritto di proprietà direttamente in capo alla figlia. Diversamente potrà garantire alla figlia la possibilità di concludere ella stessa la compravendita col promittente venditore.
Naturalmente, siccome l’obiettivo del padre-stipulante è quello di pagare il prezzo dell’acquisto in luogo della figlia potrà alla stipula del preliminare o anticipare l’intero prezzo o versare una grossa caparra.
Il contratto a favore di terzo è generalmente qualificato come una liberalità non donativa (Capozzi): d’altronde nell’esempio fatto è innegabile l’animus liberale dello stipulante, ma in tal caso, anche se il bene acquistato sarà oggetto di collazione, per l’atto non si dovranno applicare i rigidi formalismi previsti per la donazione (come confermato da consolidata giurisprudenza: Cass. 5333/2004, Cass. 4623/2001, Cass. 642/2000, Cass. 3499/1999).
Infine volendo solo accennare ad una soluzione diversa, il padre potrebbe concludere il contratto in sostituzione della figlia e magari non farsi restituire il prezzo pagato, ma in tale ipotesi si configurerebbe un contratto per persona da nominare, che però normalmente comporta obbligazioni a carico anche del nominato (la figlia).
Alla luce della presente analisi, occorre precisare che esistono prassi notarili che legittimano il contratto a favore di terzo a effetti reali (anche perché essendo frequente il caso in cui il padre voglia comprare casa alla figlia, ci sono esigenze pratiche da soddisfare); tuttavia da un punto di vista teorico l’ammissibilità di tale istituto, almeno nei casi di trasferimento di diritti reali, resta dubbia.
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