Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 47590, depositata il 2 dicembre del 2015.
Nel caso in esame, il Tribunale di Piacenza, in primo grado, e la Corte di appello di Bologna, in secondo grado, accertavano la responsabilità penale del titolare di una copisteria, colpevole del reato di cui all’articolo 171-ter, comma 1, lettera b), della legge n. 633 del 1941, per aver riprodotto in copie fotostatiche opere letterarie destinante alla didattica, a fine di lucro.
Avverso la sentenza d’appello, l’imputato ricorreva per Cassazione, lamentando inosservanza o violazione della disposizione della legge di protezione del diritto d’autore, sopra richiamata, per avere i giudici di merito ritenuto sussistente la responsabilità penale del ricorrente, pur in assenza di un fine di lucro dell’attività di riproduzione delle copie, elemento necessario per la realizzazione dell’elemento soggettivo del reato in esame. Come chiarito dall’imputato, le opere in questione erano poste in vendita ad un prezzo che non superava il costo ordinario delle fotocopie eseguite per la riproduzione dell’opera, non realizzandosi in questo modo nessun sovrapprezzo e, dunque, nessun lucro.
La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e ha stabilito che “l’indiscussa destinazione alla vendita dei volumi indebitamente riprodotti dall’imputato integra certamente l’elemento psicologico del fine di lucro previsto dalla norma in questione”.
“Tale specifica finalità – continua la Corte – ricorre ogniqualvolta il movente che abbia spinto il soggetto a delinquere sia stato legato alla possibilità di trarre dalla propria condotta illecita un qualche guadagno patrimoniale che sia finanziariamente apprezzabile”.
Per cui, quand’anche il prezzo di vendita fosse stato prossimo o coincidente al costo di riproduzione dell’opera, la finalità commerciale, sottesa all’intera operazione, vale di per sé ad integrare il necessario fine di lucro, che non si identifica in una plusvalenza rispetto al costo dell’operazione.
Violazioni di questo genere del diritto d’autore se ne registrano a centinaia, soprattutto nelle città universitarie, dove vi è una più alta concentrazione di studenti. Ed è immediatamente comprensibile che l’illecita attività di riproduzione di libri di testo trae origine da una forte domanda in tal senso, originata dall’elevato costo dei testi didattici, dalla necessità di continue versioni aggiornate, dall’assenza di “appendici” che permettano l’utilizzazione di copie non più aggiornate e, dunque, inutilizzabili (lo sa bene uno studente, soprattutto di giurisprudenza).
Il fenomeno può essere arginato soltanto attraverso iniziative volte a favorire l’accesso ai libri di testo. Abbassare il prezzo dei libri o concedere a chi ha acquistato una copia brevi appendici di aggiornamento si potrebbe rivelare una mossa vincente contro chi sfrutta il “caro-libro”, vìola il diritto d’autore e reca un considerevole danno economico ad autori e case editrici.
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