Si avvicina sempre più l’approvazione della legge delega di approvazione delle nuove direttive comunitarie in materia di appalti pubblici e cresce l’esultanza per la scelta normativa di mettere da parte il criterio del massimo ribasso, in favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Come è noto, nell’attuale regime normativo, ai sensi dell’articolo 81 del d.lgs 163/2006 vi è una piena equivalenza tra i due criteri di gara, anche se per determinati settori da tempo vige l’obbligo di far prevalere l’offerta economicamente più vantaggiosa, come nel campo degli appalti dei servizi di pulizia.
La parola d’ordine molto in voga è che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa risulti preferibile rispetto a quella del massimo ribasso, perché scongiura la corsa al deprezzamento del valore di produzione delle prestazioni, migliora il rapporto qualità prezzo e consente meglio di evitare che ribassi eccessivi incidano sui costi fissi e sulla manodopera in particolare.
Sicuramente le direttive europee mostrano un cambiamento di atteggiamento del legislatore, indicando di passare da una posizione di assoluta equivalenza tra i due criteri ad una posizione di prevalenza dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Pensare, tuttavia, che tale criterio di aggiudicazione costituisca davvero la panacea degli appalti ed assicuri meglio del massimo ribasso qualità degli appalti appare illusorio.
Lo spiega indirettamente la giurisprudenza e, da ultimo, la sentenza del Consiglio di stato Sezione V, 31 agosto 2015, n. 4040.
I giudici di Palazzo Spada hanno annullato la sentenza di primo grado emessa dal Tar Lazio – Roma, Sezione II-Bis, n. 6027/2015, la quale aveva ritenuto illegittimo l’affidamento di servizi di informazione e call center avvenuto proprio col criterio del massimo ribasso. Il giudice di prime cure aveva considerato illogico tale criterio per le ragioni sintetizzate nella pronuncia di Palazzo Spada: si trattava, cioè, di un “servizio non connotato «da una elevata standardizzazione», come invece ritenuto dall’ente aggiudicatore resistente, ed in ogni caso non «compiutamente ed esaurientemente definito dalla stazione appaltante già in sede di predisposizione del disciplinare e del bando di gara», tale inficiare la par condicio tra le imprese concorrenti, a causa dell’indeterminatezza dei contenuti dell’offerta da presentare”.
Il Consiglio di stato ha annullato la sentenza del Tar Lazio sulla base di opposte e condivisibili considerazioni: l’insieme delle prestazioni dedotte nel contratto “costituiscono attività non implicanti significativi contenuti tecnico-specialistici quanto all’organizzazione di mezzi e personale ed ai processi produttivi. Al contrario, l’incontestabile serialità delle prestazioni, la non necessità dell’impiego di personale specializzato, l’assenza di strumenti di complessità tecnologica e la tipica delocalizzabilità delle unità produttive anche in paesi extracomunitari, conducono a non condividere gli assunti del TAR, da un lato, e a ritenere del tutto ragionevole, dall’altro lato, l’opzione dell’ente aggiudicatore odierno appellante di attribuire rilevanza esclusiva ai fini dell’individuazione dell’appaltatore all’elemento prezzo”.
La vicenda processuale mette in luce in maniera chiara i reali termini della questione. I due criteri di aggiudicazione, massimo ribasso ed offerta economicamente più vantaggiosa, non sono da considerare aprioristicamente un migliore dell’altro in termini astratti. In realtà, le amministrazioni appaltanti, trovandosi nella posizione di poter effettuare una scelta discrezionale tra i due criteri, avrebbero sempre dovuto attenersi ad una specifica motivazione. E’ da ricordare che la discrezionalità amministrativa consiste nello scegliere tra due o più opzioni tutte legittime, quella che risulti più opportuna rispetto alle altre.
Pertanto, l’equivalenza tra i due criteri ancora oggi disposta dall’articolo 81 del d.lgs 163/2006 non significa “indifferenza” o, per essere più chiari, piena interscambiabilità tra l’uno e l’altro, a prescindere dagli elementi di fatto che connotano la prestazione contrattuale.
Al contrario, posta l’equivalenza disposta dalla legge, la scelta può legittimamente cadere su un criterio o l’altro a seconda della qualità e completezza del progetto e a seconda della tipologia delle prestazioni contrattuali.
Il criterio del massimo ribasso si presta ad essere utilizzato, come indirettamente indica la sentenza, in presenza di una progettazione estremamente ben fatta e dettagliata, che descriva in modo certo quantità, misure e livelli qualitativi. Se, poi, anche l’attività di produzione del servizio risulti standardizzabile o definita in modo chiaro, viene a mancare la necessità di un criterio selettivo come l’offerta economicamente più vantaggiosa.
Infatti, il Consiglio di stato nota: “anche contratti d’appalto caratterizzati da rilevanti profili di complessità, ed in particolare anche appalti di opere pubbliche, possono essere affidati sulla base della solo criterio del massimo ribasso, laddove la progettazione svolta dalla stazione appaltante sia giunta ad un grado di dettaglio tale da non richiedere, secondo valutazioni di carattere discrezionale di quest’ultima, l’acquisizione di soluzioni tecniche migliorative”.
Di fatto, dunque, l’offerta economicamente più vantaggiosa si attaglia a gare a monte delle quali la progettazione e la prestazione siano caratterizzate da un dettaglio non preciso, con margini di libertà nella determinazione stessa della qualità della prestazione. Oppure, per appalti rispetto ai quali servizi ausiliari o di completamento siano necessari, ma non standardizzabili e, dunque, lasciati alla libertà organizzativa dell’imprenditore.
La conferma di ciò è data dall’elencazione, sia pure non tassativa, degli elementi di cui tenere conto ai fini della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa contenuta nell’articolo 83, comma 1, del d.lgs 163/2006:
a) il prezzo;
b) la qualità;
c) il pregio tecnico;
d) le caratteristiche estetiche e funzionali;
e) le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto;
f) il costo di utilizzazione e manutenzione;
g) la redditività;
h) il servizio successivo alla vendita;
i) l’assistenza tecnica;
l) la data di consegna ovvero il termine di consegna o di esecuzione;
m) l’impegno in materia di pezzi di ricambio;
n) la sicurezza di approvvigionamento e l’origine produttiva;
o) in caso di concessioni, altresì la durata del contratto, le modalità di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento delle tariffe da praticare agli utenti.
Elementi come quelli indicati nelle lettere b) e c) (qualità e pregio tecnico) possono essere definiti nel dettaglio, oppure lasciati ad un livello meno concreto, indicati per categorie generali e gerarchiche. Dipende, appunto, dall’analisi di dettaglio della prestazione.
Infatti, il Consiglio di stato non manca di aggiungere che “anche nelle procedure di affidamento da aggiudicare mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa gli aspetti tecnico-valutativi possono condurre alla presentazione di soluzioni progettuali sostanzialmente speculari, tali da rendere determinante in concreto la sola offerta economica”.
Il perché di questa affermazione è molto semplice. Nonostante ancora molti siano convinti che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa consenta di lasciare margini di modifica della prestazione e della stessa progettazione, le cose non stanno così, a meno che il bando non preveda espressamente la facoltà di varianti nell’offerta, ai sensi dell’articolo 76 del d.lgs 163/2006.
Altrimenti, nella sostanza anche il progetto e la determinazione della prestazione dedotta in appalto debbono essere estremamente dettagliati. Se così non fosse, non si potrebbe dare applicazione a quanto prevede l’articolo 83, comma 4, del d.lgs 163/2006, ai sensi del quale “il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi”. Per determinare criteri e sub criteri, punteggi e sub punteggi, a meno che non siano consentite varianti, il progetto deve già aver immaginato i possibili livelli di qualità ammessi, in modo da prevederne l’astratta pesatura e, così, vincolare l’attività della commissione che non potrà discrezionalmente assegnare i punteggi, ma attribuire esclusivamente quello specifico punteggio corrispondente alla voce di offerta corrispondente a sua volta al livello qualitativo predeterminato con la griglia.
Ecco, dunque, che poiché il bando deve rendere conoscibili i criteri di valutazione da subito, può verificarsi il caso di cui parla il Consiglio di stato: le imprese partecipanti alla gara potrebbero presentare tutte o in gran parte le soluzioni progettuali di un medesimo livello qualitativo, sicchè a risultare decisiva o in larga parte decisiva continuerebbe ad essere l’offerta economica.
Né il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa pone di per sé. al riparo da ribassi molto forti.
Nemmeno qualora si applicasse la facoltà di apportare varianti progettuali ai sensi dell’articolo 76 del d.lgs 163/2006, comunque, si giungerebbe ad una ampia libertà di modifica o integrazione del progetto e della prestazione. Infatti, ai sensi del comma 3 di detto articolo 76 “Le stazioni appaltanti che autorizzano le varianti menzionano nel capitolato d’oneri i requisiti minimi che le varianti devono rispettare”. Quindi, il progetto dovrebbe in ogni caso guidare la griglia di valutazione e prevedere la tipologia di varianti ammissibile.
Insomma, l’offerta economicamente più vantaggiosa si presta a rendere evidenti i requisiti di qualità forse in modo più trasparente di quanto non accada con l’offerta al ribasso, ma se si basa su una progettazione di dettaglio che descriva i punteggi ed i criteri di valutazione connessi, non può che spingere i partecipanti a piazzarsi criterio per criterio nei range elevati di punteggio, sì da rendere comunque decisivo, ai fini del punteggio finale, il peso attribuito comunque al prezzo.
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