Se si confrontano questi dati con quelli del 2006 sono sicuramente in calo, per il quale l’Inail ha registrato 1341 casi di morti sul lavoro, ma si parla comunque di un aumento di 100 uomini in un anno. Una media di tre lavoratori al giorno; tre uomini che non faranno mai più ritorno alle rispettive case.
Studiando più attentamente i dati Inail si evince inoltre che la categoria che ha registrato il maggior numero di vittime è il settore delle costruzioni (12,6%), seguito dalle attività manifatturiere (11,5%), rispettivamente con 69 e 63 casi nel periodo di riferimento. Settori dove, vista la maggior incidenza della crisi che ha portato all’aumento delle ore lavorate, si è verificata una relativa crescita del rischio.
Nel 94,9% le vittime sono di sesso maschile contro il 5,1% di sesso femminile; si parla inoltre di cittadini italiani nell’83,9% dei casi mentre nel 16,1% di stranieri. E’ la Lombardia a detenere il primato seguita da Campania, Veneto, Lazio ed Emilia Romagna. Non c’è da meravigliarsi se si pensa alle condizioni sempre più precarie dei lavoratori italiani costretti a lavorare più ore rispetto al passato a causa della riduzione del personale: lavoratori sempre meno tutelati e con meno garanzie, in un Paese dove la sicurezza non pare la priorità dell’economia.
Potremmo infatti parlare dei tagli notevoli all’ispettorato del lavoro e alle Asl che hanno portato ad una riduzione dell’attenzione sul delicato tema della sicurezza sul lavoro. E’ questo il pensiero di Franco Bettoni, presidente dell’Anmil, Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, che sottolinea l’emergenza del fenomeno e l’importanza della prevenzione quale unico metodo per contrastare le “morti bianche”.
La prevenzione dunque prima di tutto perché non si tratta di numeri ma di esseri umani. Come sostenuto dallo stesso Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti : “Fino a quando avremo anche un solo incidente, un infortunio, un elemento di criticità, avremo qualcosa da fare”.
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