Il Sinodo, per riprendere il pensiero del Papa “venuto dalla fine del mondo”, non è un Parlamento, non è il luogo del compromesso e della sintesi, ma un’occasione di riflessione seria ed “orante” sul ruolo della famiglia oggi nella sola prospettiva propria della Chiesa che è quella di vivere “la sua missione nella Verità oltre che nella Carità” (Omelia di Papa Francesco nella Messa di apertura del Sinodo) e, perciò, nella sua fedeltà non tanto ad una dottrina o ad una ideologia quanto a Cristo stesso.
È solo all’interno di questo contesto che è possibile inquadrare ruolo, compiti e funzioni del Sinodo che non sono di natura magisteriale, ma unicamente di ausilio nei confronti del Romano Pontefice per quanto attiene alle funzioni pastorali e giuridiche cui la Chiesa deve costituzionalmente attendere.
Il Sinodo, pertanto, come nelle intenzioni di Papa Paolo VI che lo ha istituito con il Motu proprio Apostolica sollicitudo del 15 novembre 1965, non si limita ad assicurare quella colleganza affettiva tra il Vicario di Cristo ed i Vescovi (successori degli Apostoli), ma pure quella effettiva “che il principio della collegialità e la stessa nota della apostolicità presuppongono” (cfr., S. GHERRO, Principi di diritto costituzionale canonico, Torino, Giappichelli, 1992, p. 110).
Tuttavia sarebbe erroneo aspettarsi dalla XIV Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi la definitività di decisioni idonee a confermare o rivedere la posizione della Chiesa sulla famiglia e sulle sfide che essa pone. Il Sinodo, infatti, è stato pensato e strutturato secondo una normativa che ribadisce ed esalta il principio del primato pontificio. In altri termini, se al Sinodo spetta una responsabilità, morale in primis, in ordine alla formulazione di consigli e suggerimenti adeguati verso il Pontefice, gli è preclusa qualunque responsabilità o corresponsabilità di governo.
a cura di Daniele Trabucco, Università degli Studi di Padova e Michelangelo De Donà, Università degli Studi di Pavia
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