L’art. 12, rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, dispone al settimo comma: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.”
Le S.U. della Cassazione con sentenza n. 18184 del 2013, sanciscono l’illegittimità dell’atto impositivo ante tempus, “poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio”.
Le S.U. affermano che “la sanzione di invalidità dell’atto tributario deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale comunitario e nazionale, anche in ragione della lesione dei valori costituzionali sottesi (per un verso, la garanzia dei diritti del contribuente, per altro verso l’efficienza dell’azione amministrativa, ai sensi degli artt. 3, 53 e 97 Cost.), trattandosi non già di una mera difformità dallo schema formale del procedimento, ma di un vizio di natura sostanziale, che rimane integrato dalla “effettiva inesistenza” di ragioni derogatorie, considerate come presupposto di fatto esterno al provvedimento impositivo”. La Cassazione non ha riconosciuto valide le ragioni dell’imminente scadenza del termine di decadenza per l’accertamento (Cass. n. 2281/2014), nel contempo ha ritenuto valide, le seguenti ragioni di urgenza: il contribuente versi in un grave stato di insolvenza (Cass. n. 9424/2014); reiterate condotte penali del contribuente unite alla sua partecipazione a frode fiscale (Cass. n. 2587/2014); ragioni che hanno impedito di iniziare tempestivamente la verifica fiscale, ovvero a quelle sopravvenute (come nuovi fatti emersi nel corso di indagini fiscali o di procedimenti penali a carico di terzi, eventi eccezionali che hanno inciso sull’assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell’attività degli uffici, ovvero condotte dolose, pretestuose o dilatorie poste in atto dallo stesso contribuente, volte ad ostacolare o ritardare la conclusione delle operazioni) che ne hanno impedito il regolare svolgimento (Cass. n. 3142/2014).
L’atto impositivo ante tempus è lecito quando la circostanza che non ha consentito di adempiere all’obbligo di legge, non sia stata determinata da fatto imputabile agli uffici impositori, e l’onere di provare tale circostanza è a carico dello stesso ufficio (Cass. n. 3142/2014 e n. 2592/2014).
Il presupposto di applicazione di tale norma è lo svolgimento di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente, poiché, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di dare spazio al contraddittorio, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’amministrazione alla situazione del contribuente, come delineata dagli elementi raccolti dall’ufficio grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali; e ciò dal momento che, in queste ipotesi, è l’amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare, o ad escludere, la sussistenza di attività non dichiarata” (Cass. n. 7598/2014). La Cassazione ha altresì precisato, che non è necessario il processo verbale di constatazione di cui all’art. 24 della legge n. 4/29; l’art. 12, 7° comma si riferisce, in generale, ai verbali di chiusura delle operazioni di accesso, ispezione o verifica, in effetti l’impiego di una locuzione generica come verbale di chiusura delle operazioni, comprende tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezioni nei locali, indipendentemente al loro contenuto e indipendentemente dal loro nome, vi rientra in tale fattispecie anche un verbale meramente descrittivo delle operazioni di verifica (Cass. n. 15010/2014). A prescindere dal verbale redatto al momento dell’accesso, al termine della verifica si pone il problema dell’obbligatorietà di redigere il verbale finale, la CTR di Milano con sentenza n. 4/2012 afferma che: “qualunque attività di natura istruttoria diretta alla verifica della dichiarazione tributaria o tale da comportare l’esame in ufficio dei documenti prodotti dal contribuente stesso, su invito dell’amministrazione finanziaria è qualificabile come attività di verifica.”……”La mancata osservazione della norma per la chiusura della verifica invalida, pertanto, la procedura di verifica rendendo, di conseguenza, illegittimo l’avviso di accertamento”. L’Agenzia ha fatto ricorso in cassazione, all’udienza pubblica del 7 maggio 2014, è stato rigettato il ricorso con sentenza n. 14574. Le motivazioni della cassazione, ribadiscono l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, nel caso in esame si ha che, il verbale redatto per la documentazione esibita dal contribuente in data 15/8/2008 (a seguito accesso fatto in data 27/2/2008) e denominato formalmente come pvc, sia un verbale meramente descrittivo delle operazioni di verifica.
Resta da affrontare il problema della verifica fatta in ufficio (accertamenti cosiddetti “a tavolino”), a seguito della documentazione esibita dal contribuente ai sensi del punto 2) del secondo comma dell’art. 51 del DPR 633/72, da precisare che anche nel caso in esame, per le richieste fatte e le risposte date, vi è la previsione nell’ultimo periodo del comma citato, dell’obbligo di redigere il verbale già previsto nel sesto comma dell’art. 52 del citato DPR. In primis, non si comprende perché in questa ipotesi non si deve applicare il principio già sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione del 2013, anche in questa ipotesi si dovrebbe dichiarare illegittimo l’accertamento ante tempus (di parere contrario le sentenze n.ri 7598/2014 prima citata,13588/2014,15583/2014; di parere favorevole le sentenze n.ri 2594/2014, 7960/2014, 26635/09 in materia di studi di settore, s.u. 18184/2013, s.u. 19667/2014). Oltre a tale considerazione, a mio avviso vi è un obbligo generalizzato che per ogni contestazione l’ufficio ha l’obbligo alla redazione di un verbale di contestazione dei rilievi, la norma di cui all’art. 24 della legge n.4/29 è ancora in vigore e non si comprende perché non deve essere applicata, per gli accertamenti effettuati in ufficio con la collaborazione del contribuente vige lo stesso obbligo, mentre nel caso che gli accertamenti vengono fatti senza la collaborazione del contribuente vi è la previsione con l’art. 5 del D. Lgs 218/97 dell’obbligatorietà dell’invito a comparire per il contribuente. Da ultimo è da precisare che se si riconosce l’esercizio del diritto al contraddittorio come condizione di validità del successivo atto di accertamento dell’ufficio, tale diritto deve sempre operare anche negli accertamenti fatti direttamente presso gli uffici “a tavolino”, non vi possono essere avvisi di accertamento per i quali tale diritto riconosciuto di portata costituzionale/comunitario non sia applicabile.
Recentemente la Sez. 6 della Cassazione con Ordinanza n.ro 527/2015 ha rimesso alle Sezioni Unite l’applicabilità del 7 comma dell’art. 12 agli accertamenti ante tempus fatti “a tavolino”. La sesta sezione ha fatto una ricostruzione storica di tale principio (la necessità del contraddittorio ai fini della fase della formazione della pretesa fiscale), a suo avviso, esso non è presente nell’ordinamento nazionale ne in quello comunitario, fino ad oggi le garanzie del contraddittorio di cui al settimo comma vengono collegate all’esecuzione di un accesso nei locali del contribuente ed al rilascio del conseguente verbale, in ogni caso necessario. “Tali garanzie sono funzionali a soddisfare una esigenza di tutela specificatamente derivante dallo squilibrio che si determina per tale accesso e non come principio generale di tutela del contraddittorio e quindi finalizzato a garantire la partecipazione del contribuente alla formazione del provvedimento”. La sesta sezione più volte richiama la recente sentenza n. 18184/2013, non coglie però i seguenti passaggi motivazionali per esprimere il noto principio di diritto sull’inosservanza del termine di cui al settimo comma dell’art. 12:
“3.3 -l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali), e delle finalità perseguite.
L’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogicamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificatamente contemplato nello stesso art. 10, comma 2) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica ( tra le altre, oltre a quelle indicate, Cass. nn. 24217 del 2008, 3559 e 25197 del 2009, 21070 del 2011, 6627 del 2013).
La norma, poi, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà. l’atto impositivo- come la norma prescrive con espressione “forte”- “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.
Quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato- proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile- alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate)”
“3.4 Le considerazioni sin qui svolte consentono di giungere ad una prima conclusione: l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dal comma 7 dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.
La “sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, da rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non certo innocua o di lieve entità- non paragonabile, ad esempio, alla omessa indicazione del responsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da nullità per le cartelle di pagamento : Cass., sez. un., n. 11722 del 2010, bensì) di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve- sopra delineata- e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.”
Gia con questi principi, si coglie l’abbandono delle motivazioni che fino ad oggi venivano addotte per l’applicabilità del settimo comma dell’art. 12, la motivazione non sta più solo nella tutela del contribuente ma anche nella tutela di una corretta azione della pubblica amministrazione, quindi ben poteva la sezione sesta concludere sull’applicabilità del noto principio anche agli accertamenti “a tavolino”, perché non si può riconoscere che agli stessi non sia applicabile il principio costituzionale di una corretta azione della pubblica amministrazione.
Anche la successiva sentenza delle sezioni unite (n.ro 19667/2014), afferma l’esistenza di tale principio “ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, l’amministrazione sarebbe tenuta ad attivare, a pena di invalidità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale, indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva”, naturale che non si può non riconoscere in un avviso di accertamento la natura di un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, quindi anche questa sentenza poteva essere sufficiente per la sesta sezione per conformarsi al noto principio.
Già le sezioni unite sul punto si sono pronunciate, hanno statuito che nel sistema ordinamentale vi è un principio fondamentale che va oltre alla tutela del contribuente (naturale che le due sentenze delle sezioni unite citate non hanno discusso sul problema degli accertamenti “a tavolino” si sono limitate ai fatti in esse riportati, nella sentenza del 2013 si trattava di un accertamento fatto a seguito di un accesso, mentre nella sentenza del 2014 si trattava di una iscrizione ipotecaria), che deve essere attuato anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa.
La sesta sezione mette in discussione anche la sanzione che deve essere applicata per gli accertamenti ante tempus, richiama le note sentenze della Corte di Giustizia, ma non coglie il fatto che sul punto già le sezioni unite si sono pronunciate in un modo espresso e quindi nel caso che le stesse ritengano applicabile anche agli accertamenti “a tavolino” il noto principio, la sanzione non potrà che essere la stessa, naturale che qui ci discostiamo dalle pronunce della Corte di Giustizia europea, in quanto la scelta della sanzione rientra nella sovranita’ di ogni singolo stato.
Ritengo che le sezioni unite potranno esprimersi su tale ordinanza con un semplice rinvio alle già note sentenze, pensare che le sezioni unite mutino il proprio orientamento a distanza di 12 mesi sia una cosa improbabile.
Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 132/2015 depositata il 07.07.2015, in cui ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis comma 4 del dpr n. 600/73, ha affermato l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, la sua “attivazione costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa, a pena di nullità dell’atto finale del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell’interessato al procedimento stesso.”
Altro problema di non poco conto è la nozione di contraddittorio e quando lo stesso può dirsi realmente effettuato.
L’ufficio ritiene spesso che contraddittorio sia esperito con la mera formulazione di domande al contribuente e con l’annotazione delle risposte di quest’ultimo.
Al riguardo è opportuno sottolineare la separazione che c’è tra le richieste che l’ufficio fa al contribuente e i rilievi che allo stesso vengono contestati al termine o nel corso della verifica; solo gli ultimi possono fare parte del procedimento di contraddittorio.
Affinché vi sia contraddittorio l’ufficio deve esporre al contribuente i rilievi che intende fare, a quel punto il contribuente può controdedurre sulle specifiche contestazioni mossegli, esponendo le proprie ragioni e solo dopo ciò l’ufficio potrà emettere l’avviso di accertamento.
Tutta l’attività svolta dall’ufficio e dal contribuente prima della contestazione dei rilievi, mai potrà essere considerata una attività costituente il contraddittorio, essa non è altro che l’attività svolta dall’ufficio ai sensi degli artt. 51 del DPR 633 e 32 del DPR 600.
L’ufficio, infatti, nell’ambito della propria attività di controllo, può invitare il contribuente a comparire di persona per esibire documenti e scritture e formulare allo stesso delle richieste. Questa attività deve essere verbalizzata a norma del sesto comma del citato art. 52, e non potrà mai costituire un contraddittorio endoprocedimentale, essendo questa una mera attività istruttoria iniziale.
Solo al termine di questa attività o verso la fase conclusiva della stessa, l’ufficio potrà muovere specifiche contestazioni di irregolarità al contribuente.
Dopo ciò il contribuente, conoscendo i rilievi e le argomentazioni esposte dall’ufficio potrà controdedurre e fornire le proprie spiegazioni. L’ufficio, quindi, dovrà prendere atto di tali chiarimenti ed eventualmente potrà emettere un avviso di accertamento rispettoso dei termini previsti oltre che dei principi ribaditi dalla nota sentenza delle sezioni unite della cassazione del 2013
Fino a quanto gli uffici non si conformeranno a queste modalità accertative, al contribuente sottoposto a verifica, per tutelare i propri diritti, non rimane altro che chiedere espressamente l’emissione da parte dell’Ufficio del verbale di conclusione della verifica, ai fini, appunto, del rispetto del principio costituzionale/comunitario dell’obbligatorietà del contraddittorio già nella fase dell’indagine. Se l’ufficio non dovesse adempiere a tale richiesta, emetterà un avviso di accertamento viziato dalla sanzione della nullità.
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