Orario di lavoro: il viaggio casa-cliente non è riposo

Redazione 11/09/15
Il tempo che occorre per spostarsi dal domicilio al primo cliente è orario di lavoro e come tale va retribuito. A stabilirlo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo cui chi si occupa di vendite e di rapporto con la clientela (in cui l’automobile è di ordinanza) ha diritto a computare la propria giornata lavorativa non appena esce di casa, con i conseguenti cambiamenti in termini contrattuali. Prima, lo spostamento domicilio- cliente era considerato dalle società periodo di riposo. Da qui la controversia e il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo, che ha invece optato per un’interpretazione favorevole al lavoratore. Secondo la Corte Europea, infatti, le nozioni di orario di lavoro e periodo di riposo non dipendono dagli ordinamenti nazionali, ma dal diritto dell’Unione. Mediante l’individuazione di una nozione autonoma è possibile, infatti, assicurare alla direttiva una piena efficacia  ed un’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri.

L’origine del ricorso è scaturito da una società spagnola, la Tyco, che nel 2011 chiuse tutti gli uffici regionali inaugurando una rete virtuale di operatori dotati di auto e cellulari di servizio. La suddetta società chiese ai suoi addetti la comunicazione puntuale di tutti gli interventi della giornata, gli spostamenti da e per il proprio domicilio considerandoli, appunto, tempo di riposo. Tra gli elementi costitutivi della nozione di orario di lavoro è incluso l’esercizio delle attività e delle funzioni lavorative; pertanto i giudici comunitari hanno evidenziato come anche lo spostamento verso la sede del cliente diventa parte integrale della funzione del lavoratore. Il fatto che il dipendente parta dalla propria abitazione, a causa del fatto che è privo di un luogo di lavoro fisso o abituale, secondo la Corte non altera la circostanza che lo spostamento vada considerato un esercizio delle attività e delle funzioni lavorative.

Inoltre, durante lo spostamento il lavoratore non ha possibilità di gestire liberamente il proprio tempo, essendo tenuto «giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo», ha osservato la Corte. L’insorgenza di  eventuali abusi non sposta la conclusione della Corte, che giudica inammissibile arginare un simile rischio modificando la qualificazione giuridica della nozione di orario di lavoro. Spetta all’azienda evitare gli abusi infatti, ad esempio limitando il pagamento del carburante soltanto allo stretto necessario per l’uso professionale. Una sentenza che farà giurisprudenza in quanto, per la prima volta, sottopone le aziende prive di punti vendita fisici a riconsiderare orari e compensi.

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