di Massimo Greco
Il vespaio di polemiche sull’apertura di una sede decentrata nella città di Enna dell’Università Dunarea de Jo di Galati sembra non essersi assopito, anche perché, in disparte la fondata questione di opportunità dell’adesione all’iniziativa della Regione Siciliana in un contesto nebuloso e pieno di insidie qual’è notoriamente quello accademico, molte delle argomentazioni vertono sull’eventuale uso strumentale di un’Università straniera per aggirare l’insidioso accesso selettivo ai corsi di laurea in medicina e in professioni sanitarie. Questa motivazione che abbiamo letto in tante osservazioni anche di autorevoli rappresentanti delle Istituzioni accademiche non ci convince. Non si comprende infatti se la lamentela si riferisce al fatto che i titoli di studio rilasciati da Università straniere in cui non sono previsti test di accesso per i rispettivi corsi di laurea in medicina non debbano essere riconosciuti, o se il problema verte solo sul fatto che un’Università straniera non possa avere una sede decentrata nel nostro Paese. Si registra molta confusione nelle dichiarazioni che sono state rese in questi giorni, compresa quella del Ministro Giannini. La domanda, spontanea, che poniamo al Ministro è la seguente: che differenza c’è, ai fini del “riconoscimento automatico” previsto dalle norme vigenti, fra un titolo di studio acquisito in Romania e un titolo di studio rilasciato da un’Università della Romania che ha decentrato un corso di laurea in Italia? E ancora, che differenza c’è fra la richiesta di trasferimento di uno studente di medicina iscrittosi in un’Università della Romania verso un’Università italiana e la richiesta di trasferimento di uno studente di medicina iscrittosi in un corso di laurea decentrato dalla medesima Università della Romania? Ci permettiamo di anticipare la risposta: nessuna.
Infatti, sebbene l’indirizzo rigoroso prescelto dal MIUR trovi certamente una giustificazione di opportunità nell’esigenza di evitare da parte di taluni studenti i veri e propri aggiramenti dell’obbligo preselettivo, mediante l’iscrizione al primo anno e il superamento di pochi e a volte più semplici esami in altre Università straniere, è lo stesso ordinamento italiano a non prevedere, almeno allo stato attuale, disposizioni tali da precludere agli studenti comunitari il trasferimento ad anni successivi al primo presso Atenei italiani, seppur a “numero chiuso”, senza necessità di espletare alcun test preselettivo, neppur quando nelle Università di provenienza non sia previsto un test iniziale di accesso.
I contrasti giurisprudenziali sulla vicenda dei trasferimenti da Università di Paesi appartenenti all’Unione Europea e, in particolare, sulla tematica relativa alla precisa individuazione dei presupposti richiesti nell’ordinamento vigente per il trasferimento di studenti iscritti in Università straniere a corsi di laurea dell’area medico-chirurgica, sono stati appianati dalla sentenza resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel mese di gennaio del corrente anno. Peraltro, questa impostazione, oltre che pienamente rispettosa della normativa nazionale, sembra essere la più rispettosa dell’apicale principio di libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati comunitari, suscettibile di applicazione non irrilevante nel settore dell’istruzione e trova nelle norme del Trattato una tutela e una rilevanza applicativa autonoma, anche rispetto al principio espresso dalla Convenzione di Lisbona che, per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione dei rispettivi sistemi di istruzione, esclude qualunque forma di (necessaria) armonizzazione delle disposizioni nazionali in tema di “percorsi formativi”, demandando alla Comunità il limitato compito di promuovere azioni di incentivazione e raccomandazioni.
In attesa che il Ministro Giannini ci faccia sapere su cosa e su come pensa di supportare il suo out out, nessuno si meravigli se il gladiatore Crisafulli porterà avanti l’iniziativa
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