L’occasione per ritornare a parlare di aree interne e delle ipotesi per il loro rilancio ci viene offerta dalla recente individuazione del collegio plurinominale per l’elezione dei Deputati alla Camera del Parlamento italiano. Con il decreto legislativo n. 122 del 7 agosto 2015, il collegio plurinominale Sicilia-6 comprende i territori delle ex province di Enna e Caltanissetta. Ciò significa che per eleggere i futuri rappresentanti alla Camera dei Deputati con la nuova legge elettorale (Italicum) i cittadini ennesi e nisseni dovranno condividere e votare i medesimi candidati. Un altro tassello, quindi, per riprendere un ragionamento sulle aree interne che non può più essere rimandato o, peggio ancora, rispolverato solo in prossimità di competizioni elettorali.
Le classi dirigenti di Enna e Caltanissetta dovranno passare dalle “pacche sulle spalle” agli accordi concreti, interagendo sulle connessioni del trittico identitario: territorio, comunità e istituzioni. Se per i primi due aspetti, alcuni passi avanti si sono registrati, alcuni dei quali casuali e spontanei altri in forza della spending review, sul versante dei livelli istituzionali la partita non solo è tutta aperta ma presenta vistosi elementi di confusione. Con la riforma siciliana dell’ente intermedio, di cui si aspetta ancora il nulla-osta di costituzionalità dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il legislatore ha sostituito, paradossalmente, la Provincia regionale con un Super Consorzio comunale costipato di funzioni e competenze non tutte riconducibili al concetto scientifico di area vasta. Ma l’aspetto più limitante della novella riforma, ai fini del nostro ragionamento sulle aree interne, è l’inadeguatezza dello strumento istituzionale per far dialogare territori e comunità interne importanti della Sicilia come Enna e Caltanissetta. Il percorso amministrativo per pervenire ad un nuovo Consorzio di comuni è infatti ostacolato da limiti (demografici, territoriali ed amministrativi) che di fatto finiscono per svuotare quei principi di libertà, autonomia e autodeterminazione dei territori di cui risulta invece impregnato l’art. 15 dello Statuto siciliano.
In sostanza Enna e Caltanissetta dovranno fare a meno di questa ennesima occasione legislativa sprecata se vorranno veramente passare dalle parole ai fatti. Il modello istituzionale associativo serve poco in questo momento, non è infatti prioritario determinare il contenitore ma il contenuto. Peraltro, la tendenza involutiva neo-statalista e il progressivo svuotamento del principio autonomista sancito dall’art. 5 della Costituzione dovrebbe suggerire di non contare troppo sull’aiuto delle istituzioni per accelerare il percorso. Enna e Caltanissetta, pur mantenendo rispettivamente lo status di Comuni capo-fila dei rispettivi Super Consorzi comunali, dovranno fare gioco di squadra per resistere alla comune esigenza di non essere stritolati dalle tre aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina. E per evitare le brutte figure che si sono già registrate in occasione dei referendum celebrati da alcuni Comuni del messinese per aderire al Consorzio comunale ennese, bisognerà lavorare preventivamente sulle comunità locali, attraverso la promozione di un insieme sistematico di azioni studiate secondo un progetto e un cronoprogramma condivisi e partecipati a monte. Chi pensa di poter calare dall’alto quella “coscienza condivisa” che può nascere solo dal basso, nel dimostrare di essere poco informato sulle dinamiche dei territori, farà solo perdere tempo prezioso. In tale contesto, la retorica territoriale dilagante ci impone di riflettere attorno al dilemma filosofico che poneva Heidegger quando si chiedeva se il territorio prima lo si abita e poi lo si pensa o lo si pensa e poi lo si abita. Apparteniamo a quelli che ritengono che il territorio non solo vada abitato ma anche pensato.
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