Il caso: una coppia di coniugi, viste le notevoli difficoltà finanziarie, in seguito alla crisi della propria attività commerciale, vede instaurare una procedura esecutiva immobiliare a proprio carico, da parte di una banca creditrice, volta alla vendita della casa familiare.
Per questo motivo, stante il bisogno dei coniugi di utilizzare i beni facenti parte del fondo patrimoniale, gli stessi si sono rivolti al Tribunale al fine di ottenere l’autorizzazione alla smobilitazione di una parte, cospicua, degli stessi.
I giudici del Tribunale di Modena, però, hanno rigettato il ricorso dei coniugi, sostenendo che, essendovi ancora una figlia minore, la smobilizzazione del denaro costituente il fondo patrimoniale non corrisponderebbe ai requisiti di necessità ed utilità per la minore, al ricorrere dei quali il Tribunale può autorizzare l’alienazione dei beni facenti parte del fondo patrimoniale.
I Giudici hanno sostenuto da un lato che “la smobilizzazione di oltre il novanta per cento della somma costituente il fondo patrimoniale equivale, di fatto, alla sua cessazione […], mascherata dalla permanenza di un minimo ed irrilevante residuo”, dall’altro che si manifesta come “evidente la contrarietà all’interesse della famiglia, di cui fa parte il minore, della definitiva volatilizzazione della somma costituente il fondo patrimoniale, nel quale residuerebbero soltanto poche migliaia di Euro, inidonee a soddisfare i bisogni della famiglia se non per brevissimo tempo”.
Non solo, hanno altresì ritenuto che l’istanza a loro indirizzata non sarebbe stata orientata a tutelare gli interessi della figlia minore, e che la necessità, quale elemento fondamentale al fine della concessione dell’autorizzazione, “non può essere costituita dall’esigenza di fare fronte alle difficoltà economiche dei genitori”.
Per quanto riguarda il fondo patrimoniale, il nostro codice prevede che per poter alienare i beni facenti parte di fondo patrimoniale se non previsto diversamente all’atto di costitutuzione dello stesso, sia necessario, ai sensi del 169, l’accordo di entrambe i coniugi e, nel caso di figli minori, l’autorizzazione del giudice, che deve verificare se tale operazione corrisponde a necessità ed utilità evidente per il minore.
La necessità si ritiene sussistente quando, ricorrendo un profondo disagio economico della famiglia, la trasformazione del patrimonio in moneta contante si presenta come unica ancora di salvezza.
Proprio per questo motivo desta forse qualche perplessità la pronuncia dei giudici modenesi, i quali non hanno ravvisato l’utilità dell’operazione nell’abbandono da parte della banca della procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto la casa coniugale.
Considerato, infatti, che la casa familiare è da sempre considerata una delle esigenze primarie della famiglia, un’intrepretazione più elastica del dettato normativo avrebbe potuto meglio rispondere alle esigenze della minore, la quale seriamente rischia di perdere la propria abitazione, pur mantenendo la disponibilità di un cospicuo fondo patrimoniale.
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