Con la legge 11 marzo 2014, n. 23, il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore, uno o più decreti legislativi, finalizzati alla completa revisione dell’attuale sistema.
L’art. 10 della delega, alla lettera a) indica, tra i criteri della delega, il rafforzamento e la razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche ai fini del deflazione del contenzioso.
Un chiaro effetto deflattivo del contenzioso si è registrato grazie all’introduzione del “reclamo e la mediazione”, in materia tributaria, con l’art. 39, comma 9, del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011.
Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti del reclamo e può contenere una proposta di mediazione, con la rideterminazione della pretesa.
Tale normativa introduce tale misura deflattiva del contenzioso, da esperire preliminarmente alla presentazione del ricorso, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, per gli atti della sola Agenzia delle entrate, notificati a decorrere dal 1° aprile 2012.
Il reclamo ha la funzione di provocare un tentativo di mediazione inaugurando una fase pregiurisdizionale (pre trial).
Il contribuente che intende presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale deve, preliminarmente, anticiparne il contenuto all’Agenzia delle entrate, chiedendone l’annullamento totale o parziale, sulla base dei motivi di fatto e di diritto che intende sottoporre alla valutazione del giudice tributario.
E’ facoltà del contribuente inserire nell’istanza anche una proposta di mediazione.
Inizialmente la mancata presentazione del reclamo (con o senza proposta di mediazione), era sanzionata con la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
La Corte Costituzionale (sentenza 16 aprile 2014, n. 98) ha sancito che la giurisdizione condizionata (qual è il reclamo) non deve rendere eccessivamente difficoltoso il ricorso alla Giustizia e, in particolare, deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile, operando un congruo bilanciamento tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire.
Secondo la Consulta, quindi, la previsione dell’inammissibilità del ricorso per mancata presentazione del reclamo (rimedio di carattere amministrativo) è illegittima per violazione dell’art. 24 Costituzione.
Nella stessa sentenza, però, la Corte ha affermato che è costituzionalmente legittimo che il legislatore preveda adempimenti di oneri o esperimenti di rimedi amministrativi, infrapposti tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e la tutela giurisdizionale, anche se comportano il differimento di quest’ultima.
L’importante che tale differimento sia dettato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che il reclamo e la mediazione, in ambito tributario, implementando la definizione delle controversie nella fase ante-giurisdizionale, soddisfano l’interesse generale sotto un duplice aspetto: assicurano una definizione più celere e meno costosa delle controversie, con vantaggio sia per il contribuente sia per l’amministrazione finanziaria, e riducono il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie.
La Corte costituzionale, quindi, conclude affermando che la previsione dell’obbligo della preliminare presentazione del reclamo non viola, pertanto, nessun parametro costituzionale. La previsione di una forma di mediazione obbligatoria è compatibile con la Costituzione.
Con la L. n. 147/2013, il legislatore ha corretto il precedente disposto, sancendo che la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di novanta giorni, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio, può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione.
In seguito alla legge delega fiscale, le ipotesi sulla riforma del reclamo e della mediazione tributaria si sono sviluppate lungo due direttrici.
La prima ipotesi era di celebrare il tentativo di mediazione davanti ad un organo terzo (tramite la creazione di una sezione ad hoc), la seconda, fatta propria dal Governo, di ampliarne l’ambito di applicazione con l’obiettivo di tagliare drasticamente il contenzioso tributario liberandolo dalle liti fino a 20mila euro.
In questo senso, lo schema di decreto esitato dal Governo estende la mediazione anche agli atti emessi da altri enti, ad esempio, Comuni, Dogane e ed Equitalia almeno per i vizi propri (errore nella firma, cartella senza busta ecc.).
Mentre, però, per le Agenzie delle entrate, delle Dogane, e dei Monopoli di cui al D.Lgs. n. 300/1999, devono provvedere all’esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture, diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili, per i Comuni (e gli altri Enti impositori) tale previsione si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa (ipotesi delineata dalla riforma dell’articolo 17-bis, del D.Lgs. 546/1992, comma 4).
La tanto criticata finzione che a gestire la mediazione sia un organo terzo, con i Comuni può anche non sussistere.
A norma del vigente comma 5 dell’art. 17-bis, ante riforma del contenzioso, il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso queste strutture differenti ed indipendenti da quelle che hanno curato gli atti contestati dal contribuente.
La gestione della mediazione per gli atti dell’Agenzia delle entrate non è, quindi, affidata ad un terzo neutrale, ma alla stessa Amministrazione che ha emesso l’atto, sia pure attraverso un’area organizzativa distinta.
Quello che già manca nella composizione delle controversie tributarie è la figura del mediatore (che il legislatore vuole non giudiziale) dotato di autorevolezza, equidistante dalle parti, dotato di un’autonomia in grado di garantire sia il soggetto impositore che il contribuente.
L’avere affidato la gestione della mediazione ad una sezione (per quanto differente ed autonoma) dello stesso soggetto impositore, disperde il valore aggiunto di qualsiasi tentativo di accordo e non pone il mediatore in condizioni di esortare e rassicurare le parti a trovare una composizione che eviti tempi e costi della lite giudiziale (Luigi Ferlazzo Natoli e Ludovico Nicotina, ItaliaOggi, 10 maggio 2012, pag. 33).
I Comuni, specie quelli di piccole-medie dimensioni, non hanno personale qualificato in misura sufficiente per creare strutture svicolate ed indipendenti dall’ufficio tributi, che gestisce la fase accertativa.
D’altro canto la creazione di tali organismi comporterebbe l’attribuzione di una posizione dirigenziale (o di posizione organizzativa, per gli enti privi di dirigenza), con un costo aggiuntivo per l’Ente.
Quando il Governo, in sede di attuazione della delega fiscale, prevede che i Comuni gestiscono la mediazione compatibilmente con la propria struttura organizzativa, lascia la possibilità agli enti locali che d’istruire e valutare il reclamo e la proposta di mediazione tramite lo stesso ufficio (o, addirittura, lo stesso soggetto) che ha emesso l’atto.
A determinare quale struttura deve gestire la fase di esame di reclamo e di mediazione è il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.
Il riferimento alla struttura organizzativa, sembra orientare i Comuni ad individuare la struttura che deve gestire la fase di esame del reclamo e di mediazione tramite il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, più che attraverso il regolamento dei singoli tributi o quello di contabilità.
Qualora a gestire la fase di mediazione sia la stessa struttura (o lo stesso soggetto) che ha effettuato l’accertamento, allora più che di mediazione, si potrebbe parlare di un obbligo di riesame del proprio provvedimento.
L’assenza di una struttura diversa e autonoma da quella che cura l’istruttoria degli atti reclamabili, avvicina moltissimo il reclamo ad un’istanza di autotutela.
Chi emette l’avviso di accertamento può essere posto a valutare il reclamo e decidere in merito al suo accoglimento totale o parziale.
Quello che differenzia la mediazione dal riesame in autotutela è, quindi, la procedura da seguire (tempi di presentazione del reclamo, termini per la risposta, conseguenze del mancato accordo, reclamo che diventa automaticamente ricorso, etc.).
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