Ricercando le fattispecie e le cause che determinano le responsabilità emerge che l’incompatibilità si collega alle situazioni di conflitto di interesse con le pubbliche amministrazioni, per cui non è consentito ai soggetti che ricoprono uffici di vertice mantenere posizioni che si pongono in conflitto. Mentre l’inconferibilità si determina nelle ipotesi in cui gli incaricati presentino caratteristiche che ledono l’imparzialità e l’autonomia dei titolari degli organi di vertice.
Le misure volte a garantire l’imparzialità dei funzionari pubblici si distinguono in misure di indipendenza soggettiva, che attengono alla protezione del funzionario da indebiti condizionamenti con particolare riguardo all’intromissione, nella gestione, degli organi politici, e misure di imparzialità soggettiva, che mirano a proteggere la funzione amministrativa da impropri condizionamenti di interessi esterni. Queste ultime rientrano nella disciplina della L. 190/2012 e del decreto delegato n. 39/2013 e riguardano i regimi di inconferibilità degli incarichi per chi si trovi in conflitto di interesse con la funzione da esercitare o di incompatibilità. Le norme sull’inconferibilità degli incarichi sono, secondo la previsione dell’art. 22 del D.Lgs. 39/2013, attuative dell’art. 97 Cost. che contiene un chiaro riferimento all’imparzialità della P.A. e all’accesso per concorso.
L’ambito di applicazione della normativa sulle inconferibilità riguarda gli incarichi conferiti nella pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, ivi compresi le autorità amministrative indipendenti, gli enti pubblici, nonché negli enti di diritto privato in controllo pubblico. Rientrano, per gli enti locali, le funzioni dirigenziali assimilati alle posizioni dirigenziali, e gli incarichi ex art. 110 del TUEL.
Le categorie delle cause che impongono il non conferimento sono tre: a) la condanna, anche non definitiva, per uno dei reati contro la pubblica amministrazione; b) la provenienza del potenziale incaricato da enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico; c) la provenienza, per gli incarichi dirigenziali esterni, da cariche in organi di indirizzo politico. La ratio legis in materia di inconferibilità, desunta dal D.Lgs. 39/2013, riposa nell’esigenza di evitare: che si comprometta l’immagine dell’incarico da affidare, con riguardo alla lett. a); commistioni tra interessi privati e interessi pubblici che possano compromettere l’imparzialità della funzione pubblica da esercitare, con riguardo alla lett. b); che la persona sia scelta non in virtù dei propri meriti professionali bensì dell’appartenenza a organi politici con riguardo alla lett. c).
La puntualizzazione effettuata dall’art. 1 del citato decreto n. 39/2013 in merito a ciò che deve intendersi per enti in controllo pubblico ed enti regolati e finanziati dall’amministrazione conferente, chiarisce la distinzione tra enti in controllo pubblico chiamati a svolgere attività economiche sul mercato ed enti in controllo pubblico, come le società e gli altri enti di diritto privato, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici. Solo per questi ultimi si pone l’esigenza di assicurare l’esercizio imparziale dei compiti affidati secondo le regole vigenti nelle amministrazioni ed enti pubblici.
Vi è però da dire che soltanto le condanne, anche non definitive, per reati contro la p.a. accomuna le posizioni di tutti gli enti locali e determina l’inconferibilità degli incarichi. Le altre due ipotesi, b) e c), assumono rilevanza soltanto allorché siano coinvolti enti con popolazione superiore ai 15.000 abitanti per espressa disposizione normativa (art. 7, co. 2; art. 11, co. 2). Ne risulta incomprensibile la ratio e tuttavia la situazione è inconfutabile.
Gli organi che hanno violato incorrono nella responsabilità di cui all’art. 18, co.1, del citato Decreto 39/2013 in conseguenza della nullità dei provvedimenti emanati, e non possono, per tre mesi, conferire nuovi incarichi. Da qui l’esigenza di individuare i sostituti che dovranno adottare i provvedimenti di nomina al loro posto.
Dovendo dunque provvedere ad adeguare i regolamenti, per evitare le procedure sostitutive in caso di inerzia, secondo quanto emerge dal Comunicato dell’ANAC del 14 maggio 2015, si dovrà distinguere tra enti sotto e sopra la soglia dei 15.000 abitanti. Ma v’è di più: se i Responsabili della prevenzione della corruzione rilevano eventuali violazioni a carico degli Organi politici, devono comunicare all’ANAC e poi adoperarsi dando luogo alle procedure sostitutive interne. Allora, non si corre il rischio di aprire un conflitto tra la classe politica e quella dirigenziale? Non è forse questo il motivo per il quale lo spoil system non può funzionare e la riforma “Madia” in corso, che prevede l’incarico a termine per la dirigenza pubblica, è fuori da ogni logica?
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