In altra occasione era stato ampiamente dimostrato che tale imposizione aveva alla base motivazioni che rimontavano ad una difficoltà di alcuni Ministeri a ridimensionare l’accesso a questo strumento gratuito di ricorso agli atti amministrativi definitivi, ad opera dei rispettivi dipendenti e per cui addirittura nel 2009, in sede parlamentare, era stato richiesto un intervento che andava aldilà delle prerogative istituzionali del soggetto ministeriale ivi presente e per cui era legittimato a stare avanti alla IV Commissione Difesa e precisamente: “…è necessario qualche intervento legislativo volto a contenere o a non estendere procedure di tutela valevoli nel pubblico impiego per tutti i cittadini anche al comparto militare.”.
In buona sostanza un generale sollecitava un intervento del legislatore per deflazionare l’accesso a questo strumento gratuito messo a disposizione dei propri dipendenti.
Dal 2011 i vari Ministeri, nel tentativo appunto di deflazionare l’accesso a questo istituto, per cui sembra che nel solo 2009 erano pendenti, ad esempio, presso quello della Difesa circa 30.000 ricorsi, strumentalmente, hanno utilizzato ed ancora utilizzano, l’introduzione del contributo unificato, per l’unico caso, quello della trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato, previsto dall’art. 13 c. 6 bis, lettera e) del DPR 30 maggio 2002 n. 115 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” e successive modifiche, per estendere questo esclusivo caso, necessariamente incardinato nel procedimento amministrativo giurisdizionale e quindi della legittima disciplina del CU, a tutte le ipotesi di ricorso straordinario al Capo dello Stato.
In quel caso, come è stato chiaramente dimostrato in un altro articolo, non poteva essere operato un tale sillogismo in quanto il contributo unificato nasce come imposizione tributaria per quei procedimenti giurisdizionali di cui appunto il ricorso straordinario al Capo dello Stato non ne presenta, ancora oggi ed anche dopo la modifica avvenuta con la legge 69 del 2009, sul parere consultivo del Consiglio di Stato, le caratteristiche essenziali, ma rappresenta, con tutti i suoi limiti, un semplice e irrituale rimedio amministrativo. Ci vogliamo ricordare ad esempio che ad istruire il ricorso è sempre il Ministero controparte nel contenzioso, oppure che a risolvere la questione con “il parere”, a cui dal 2009 è stata data natura giurisdizionale, vi sono, ed avviene quasi tutti i giorni, alcuni “giudici” che non provengono dai ruoli normali concorsuali, ma che invece hanno conflitti originari d’interesse, essendo stati per tutta la loro precedente carriera pubblica alle dipendenze dello stesso Ministero per cui devono decidere con “parere”? Etc. etc. in barba ai principi di trasparenza, terzietà, correttezza, giustizia, etc. etc.?
Inoltre, anche letteralmente era esclusa la possibilità di obbligo a versare un CU per il ricorso straordinario al Capo dello Stato in quanto il titolo del comma 6 bis, oggetto di tale disamina, recitava e recita: “Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi….” escludendo in maniera categorica che un contributo unificato potesse esistere al di fuori di tali previsioni di natura giurisdizionale ed in ogni caso, ad excludendum, non prevedendo, nel titolo, l’ipotetica previsione anche per il ricorso straordinario al Capo dello Stato, appunto non citato!.
Per un paio di anni i vari Ministeri si sono sempre arroccati sul fatto che il ricorso straordinario al Capo dello Stato rientrava nelle previsioni del T.U. in materia di spese di giustizia perché, seppur non rientrava tra i ricorsi giurisdizionali, rappresentava in ogni caso un rimedio “giustiziale”, che significa meno di niente, se non un’inutile esercizio ginnico sulla parete liscia della logica del diritto processuale e sostanziale!
Insomma ne sono state tentate di tutte e di più senza riuscirvi sul piano della logica e del diritto, ma soltanto su quello della soggettiva supremazia amministrativa, che ancora oggi, seppur alcuni governi hanno tentato di limarne la consistenza a favore del cittadino, connota costantemente e genericamente tutte le attività amministrative ministeriali.
Nell’esercizio di questa supremazia amministrativa a volte si è pure debordato nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile, fino a giungere a quello che comunemente e metaforicamente è indicato come il gioco delle tre carte, in cui, davanti alla totale evidenza dei fatti e dei presupposti logici giuridici, che non ammettevano altra ipotesi che la gratuità ancora del ricorso straordinario al Capo dello Stato, si sono opposte nuove considerazioni privi di pregio e non supportate giuridicamente dal diritto e dalle sue norme attinenti alla specifica materia, ma solo da elucubrazioni e considerazioni di basso profilo esegetico ed ermeneutico.
Straordinariamente, oggi, dopo la ferma posizione assunta a livello centrale, che il ricorso straordinario per sua natura rientrava in quella disciplina prevista per la giurisdizione amministrativa e pertanto il contributo unificato andava pagato: sempre, comunque e dovunque ed a prescindere, emerge, da una circolare del Ministero della Difesa la M_D GMIL2 DG SCGA 4 0132 del 21 gennaio 2015 qualcosa di stupefacente e cioè non bastano più le tre carte per giustificare l’impossibile, bisogna cambiare proprio il mazzo di carte!
Infatti cosa si afferma in questa circolare?
Si afferma che il Contributo Unificato non è più tale perché è una tassa e sfugge quindi a quella giurisdizione amministrativa, invece prima tanto ricercata a presupposto della illegittima richiesta di CU, il cui accostamento in questi anni ha fatto sorgere seri dubbi sull’imposizione dello stesso, considerato che per esso alla fine non si adottavano gli stessi profili di gradualità previsti invece proprio nel comma 6 bis per i ricorsi giurisdizionali amministrativi, oltre per quelli civili a cui si fa riferimento per il dimezzamento e l’esenzione del CU per i processi giurisdizionali nel diritto amministrativo.
Ovvero si è affermato (ma si continua ancora pedissequamente) che il CU si doveva perché previsto dal c. 6 bis ma non si dovevano applicare quelle esenzioni e dimezzamenti, in violazione di quanto previsto dall’art. 53 della Carta Costituzionale (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.), applicati ancora oggi invece per i ricorsi presentati davanti al Tar ed al Consiglio di Stato.
Questo erano praticamente e sono ancora oggi:
– il pagamento della metà del CU per i ricorsi concernenti i rapporti di pubblico impiego, in forza della lettera b) del predetto comma 6 bis: “b) per le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, si applica il comma 3 (3. Il contributo è ridotto alla metà per i processi speciali previsti nel libro IV, titolo I, del codice di procedura civile……..);
– L’esenzione del CU in relazione al reddito personale annuale del ricorrente inferiore a 3 volte il reddito minimo per ottenere il patrocinio gratuito.
Per ritornare alla inverosimile circolare in questa si afferma, paradossalmente, che : “…il pagamento del contributo in materia di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica:
– ha (sentite bene) natura di adempimento fiscale; peccato che la Cassazione è giunta a considerazioni opposte (Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 05/05/2011 n° 9840), affermando che esso ha necessaria ed esclusiva natura tributaria;
– è dovuto in occasione della presentazione del ricorso, anche in caso di rinuncia allo stesso;
– non è condizione di ammissibilità/inammissibilità del gravame (ai sensi dell’art. 13 del DPR 24 novembre 1971, n. 1199, concernente “Semplificazione del procedimento in materia di ricorsi amministrativi” e successive modifiche e integrazioni); (significa, e finalmente se ne sono resi conto, che, a prescindere dal non pagamento, del non dovuto CU, il ricorso deve essere istruito ed inoltrato)
– non è ridotto della metà dell’importo (esenzione parziale), in ragione del reddito dell’interessato, per le controversie in materia di pubblico impiego;
– non è soggetto all’esenzione totale prevista per il patrocinio (gratuito) a spese dello stato, pur in presenza delle condizioni reddituali del ricorrente stabilite pe rlatre forme di tutela giurisdizionale.”.
Ma il bello deve ancora venire, perché più avanti si aggiunge:
Il contributo in esame, inoltre, dovrà essere essere corrisposto dal ricorrente con una delle seguenti modalità:
– mod. F23 presso gli istituti di credito/uffici postali;
– conto corrente postale n. 57152043, intestato a tesoreria provinciale dello Stato di Viterbo, indicando la causale” versamento contributo unificato”
– versamento presso le rivendite di generi di monopolio e di valori bollati!
Nei due successivi allegati si rasenta ancora l’inverosimile a causa della contraddizione tra il contenuto della circolare e quella dei due allegati e tra questi stessi, nel senso che si insiste, nell’allegato B, a indicare l’uso del mod. F23 per il pagamento del contributo unificato, che invece nella circolare sembra abbia assunto la forma di una tassa e non di un contributo, mentre nell’allegato C si appronta una inverosimile comunicazione indirizzata alla Direzione Generale per il Personale Militare III Reparto- Servizio Recupero Crediti con cui si gli si richiederebbe la riscossione coattiva di competenza (di quale competenza si parla, se questa gli è stata, per così dire sottratta, in forza proprio della sentenza citata nell’introduzione della predetta circolare?), quando invece nel primo allegato si avvisa il ricorrente che, a seguito dell’omesso pagamento: “sarà data comunicazione all’Ente deputato per la successiva iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi etc, etc.”, procedura questa sì corretta sotto il profilo del diritto tributario.
Insomma atti prettamente già contraddittori tra essi e altamente fuorvianti, come è stato per i precedenti in cui si invitava, ad opera proprio del Ministero della Difesa, a ricorrere alla CTP avverso l’invito di pagamento, che invece non doveva avvenire perché illegittimo, stante quanto deciso proprio dalla sentenza n. 24633/11/14 della CTP di Roma, citata a presupposto del tutto nella circolare predetta, perché fondati in parte e nella sostanza, su presupposti infondati e attribuzioni soggettive ed oggettive inesistenti e strumentali.
In buona sostanza al punto 3 della circolare si tenta di spiegare l’inspiegabile e cioè si afferma che dunque il CU unificato non è più tale, ma invece più avanti e negli allegati si fa riferimento sempre ad un CU a cui si deve adempiere con le modalità previste per il versamento e cioè ad esempio attraverso il mod F23, quello appunto previsto per il versamento del CU, ma al contempo si afferma anche che esso è qualcosa di indefinito, (ecco il ritorno al gioco delle tre carte!) che: “….ha carattere speciale ed esclusivo (che cosa vuol dire?) e, pertanto, a esso non risultano applicabili le previsioni normative stabilite, in via generale, per la presentazione dei ricorsi giurisdizionali innanzi al Tribunale Amministrativo regionale ed al Consiglio di Stato.”!
Incredibile, ma se erano proprio questi i presupposti con cui si voleva affermare che il CU competeva per il ricorso straordinario al Capo dello Stato, tentando più volte di dargli una giurisdizione che non ha e non aveva, finanche a giungere ad affermare che era un rimedio “giustiziale”! E se esula dalla disciplina del diritto amministrativo a maggior ragione non deve essere applicato al ricorso straordinario al Capo dello Stato!
Ma cosa ha di speciale adesso (ecco perché sembra che si voglia cambiare il mazzo delle carte, metaforicamente, a partita aperta) da non rientrare più nelle previsioni di cui al comma 6 bis dell’art. 13 del DPR 115/2002?
Lo si capisce meglio quando al primo alinea si afferma che il CU: “…ha natura di adempimento fiscale”! Cioè è una tassa! Incredibile!
Questa è veramente una considerazione giuridica sopraffina!
Cioè, visto che ormai la carta della giurisdizionalità ce la siamo quasi giocata inutilmente, passiamo a quella della fiscalità indiretta!
Purtroppo, come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, perché si deve spiegare come fa il CU ad essere una tassa quando nella sua stessa definizione rappresenta la sua natura squisitamente tributaria e non fiscale e la Cassazione ancora nel 2011 metteva ancora un punto fermo verso questa indicazione di massima?
Ma soprattutto, come si fa ad affermare un simile ossimoro, quando poi in tutto l’articolato della circolare si definisce il CU per quello che è: un tributo per le spese di giustizia all’interno dei ricorsi giurisdizionali, ma soprattutto si è a conoscenza che le tasse, comunemente dette, non si pagano con l’F23 ma con L’F24?
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