L’art. 184 del D.Lgs. 152/2006 distingue i rifiuti, a seconda dell’attività di origine, in “rifiuti urbani” e “rifiuti speciali”.
Le imprese che effettuano il trasporto professionale di rifiuti (siano essi urbani o speciali) devono iscriversi all’Albo Gestori Ambientali così come previsto dall’art. 212, comma 5, del D.Lgs. 152/2006.
L’iscrizione a detto albo, tuttavia, non è unica, ma prevede diverse categorie a seconda dell’attività di gestione che si vuole effettuare o a seconda della tipologia di rifiuti (cfr. art. 8 del DM Ambiente 406/1998).
Per semplificare, è prevista la categoria 1 (raccolta e trasporto di rifiuti urbani e assimilati), la categoria 2 (raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi individuati ai sensi dell’articolo 33, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, avviati al recupero in modo effettivo ed oggettivo), la categoria 3 (raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi individuati ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, avviati al recupero in modo effettivo ed oggettivo), la categoria 4 (raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi), la categoria 5 (raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi), etc. etc.
Ciò posto, procediamo per ordine, iniziando dalla prima considerazione:
a) Non sempre la categoria 1 è utilizzabile per i rifiuti urbani
Ciascuna categoria è suddivisa in diverse classi, per ciascuna delle quali sono previsti determinati requisiti di iscrizione (requisiti del responsabile tecnico, dotazioni tecniche, garanzie e via di seguito).
Per le categorie 2, 3, 4 e 5 le classi sono individuate in base alla quantità annua di rifiuti gestiti.
Invece, per la categoria 1, le classi vengono distinte a seconda che la popolazione complessivamente servita sia pari o superiore ad un certo numero di abitanti.
Pertanto, è evidente che il criterio usato per le categorie da 2 a 5 (ma anche sino alla 8) è legato ad un fattore quantitativo (più rifiuti si gestiscono, più è alta la classe cui occorre iscriversi), mentre il criterio valido per la categoria 1 è basato esclusivamente sul dato demografico.
La peculiarità della distinzione in classi della categoria 1 è dovuta, molto probabilmente, al fatto che tale categoria è stata creata (esclusivamente) per l’ipotesi di servizio pubblico di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, cioè il servizio gestito in privativa direttamente dai Comuni (o ATO e simili) o, per conto di essi, da soggetti terzi (ma sempre in privativa, appunto). Per essere più chiari, i rifiuti urbani che rientrano nel servizio pubblico (quindi in privativa) non possono essere raccolti e trasportati da chiunque, ma solo dal soggetto che gestisce tale servizio per conto dell’ente committente (Comune, ATO etc.).
Ciò comporta serie difficoltà pratiche laddove, un’impresa, che vorrebbe svolgere attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani non soggetti a privativa del servizio pubblico, volesse iscriversi alla categoria 1. Infatti, posto che un’impresa che si rivolga al libero mercato può al limite preventivare – sulla base anche delle dotazioni di mezzi e di personale – il quantitativo presunto di rifiuti da trasportare, come potrebbe prevedere a priori il numero di abitanti della popolazione complessivamente servita ?! Se, ad esempio, volesse andare a raccogliere rifiuti urbani (non soggetti a privativa) presso abitazioni private o condomini privati, come potrebbe mai conoscere il numero di abitanti di ciascuna casa o condominio serviti? Per assurdo, un’impresa che si occupa di raccogliere e trasportare rifiuti urbani non soggetti a privativa, se va a servire 1000 case private, abitate da 4 persone ciascuna, avrà un bacino di 4.000 abitanti e dovrà iscriversi alla classe f) (per popolazione servita inferiore a 5000 abitanti), mentre se va a servire 500 condominii privati, abitati da 100 persone ciascuno, avrà un bacino di 50.000 abitanti e dovrà iscriversi alla classe c) (per popolazione servita inferiore a 100.000 abitanti) – in questo caso l’impresa che fa? prima di fare le offerte si deve accertare del numero di abitanti presenti in ciascuna casa o condominio, onde evitare di sforare la propria classe di appartenenza?
Insomma, l’attuale suddivisione in classi della categoria 1 non rende attuabile l’iscrizione per le imprese che vogliano occuparsi della raccolta e trasporto di rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico.
Per cui, ad oggi, vi è un evidente scollamento tra la fonte primaria (il D.Lgs. 152/2006) – che, pur distinguendo tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, nel rendere obbligatoria l’iscrizione all’Albo (art. 212, comma 5, del citato D.Lgs.), non sembra prevedere alcuna separazione, all’interno dell’Albo, tra categorie per gli urbani e categorie per gli speciali -, e la fonte secondaria (DM Ambiente 406/1998) che, invece, pur prevedendo una categoria specifica per i rifiuti speciali non pericolosi (categoria 4) non prevede una categoria idonea per i rifiuti urbani non soggetti a privativa.
Occorre a questo punto chiedersi:
b) le imprese di autospurgo devono avere la categoria 4, la categoria 1 …o entrambe ?
Nella prassi, l’inadeguatezza della categoria 1 sopra evidenziata, ha comportato la necessità di utilizzare la categoria 4 anche per gli urbani non soggetti a privativa.
Per fare un esempio concreto basti pensare alle imprese di autospurgo: sia che volessero effettuare raccolta e trasporto di liquami da pozzi neri presso enti o imprese (quindi rifiuti speciali), sia che volessero effettuare raccolta e trasporto di pozzi neri presso abitazioni private (a rigore, siccome rifiuti domestici, si tratta di rifiuti urbani), hanno effettuato l’iscrizione alla categoria 4 (raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi).
Negli ultimi tempi, però, gira pure qualche rumor secondo il quale qualche impresa di autospurgo ha fatto o sta per fare la doppia iscrizione: categoria 4 per lo spurgo di pozzi neri di imprese ed enti e categoria 1 per lo spurgo di pozzi neri di privati.
Sull’iscrivibilità alla categoria 1, però, permangono le perplessità sopra illustrate: non è organizzata per i rifiuti urbani che non siano oggetto di servizio pubblico (ed i rifiuti liquidi da fosse settiche, pozzi neri, bagni mobili ecologici (c.d. bagni chimici) e simili, non vi rientrano).
Non solo. Ma la doppia iscrizione comporterebbe problemi organizzativi e gestionali enormi sol che si pensi al fatto che tale impresa dovrebbe tenere due sistemi di tracciabilità:
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Il SISTRI per i liquami prelevati da pozzi neri, fosse settiche, bagni mobili ecologici etc, asserviti ad attività di servizio, artigianali, commerciali e lavorative in genere;
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I formulari di identificazione dei rifiuti ed il registro di carico e scarico per i liquami prelevati da pozzi neri, fosse settiche, bagni mobili etc, asserviti ad abitazioni private.
Insomma, la via della doppia iscrizione, non risolverebbe il problema e ne creerebbe di nuovi.
Come uscire dall’impasse?
Una soluzione:
c) trasformare la categoria 4 in modo da includere anche i rifiuti urbani non pericolosi non soggetti al servizio pubblico
Un modo per uscire dall’impasse anzidetto, in verità, ci sarebbe: basterebbe trasformare la categoria 4 – attualmente limitata ai soli rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi – in categoria per la raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi e di rifiuti urbani non rientranti nel servizio pubblico.
Questa soluzione sarebbe perfettamente compatibile con l’attuale T.U.A. (testo unico ambientale), poichè l’art. 212, comma 5, del D.Lgs. 152/2006, prevede l’obbligo di iscrizione all’albo per i trasportatori professionali, ma non prescrive alcuna ipotesi di separazione tra chi si occupa dei rifiuti urbani e chi si occupa dei rifiuti speciali.
Nè si ravvede alcuna ragione per attuare una distinta categoria, poichè si tratta comunque di rifiuti non pericolosi ed entrambi gestibili nel libero mercato – cioè non soggetti alla privativa del gestore del servizio pubblico dei rifiuti urbani.
Peraltro, non si comprende perchè la categoria 2, relativa ai rifiuti non pericolosi da avviare a recupero – che pure beneficia di procedure semplificate di iscrizione -, debba consentire la raccolta e trasporto sia di rifiuti urbani che di rifiuti speciali, mentre la categoria 4 debba essere così limitativa!
Inoltre, va pure detto che per le imprese di autospurgo non cambierebbe alcunchè quanto all’obbligo di iscrizione al SISTRI, poichè già oggi, in quanto iscritte all’albo per la categoria 4, hanno l’obbligo di aderire a tale sistema (cfr. art. 188-ter, comma 1, lett. f), D.Lgs. 152/2006) e gli verrebbe pure evitato di tenere la doppia contabilità sopra accennata.
L’unica modifica andrebbe fatta sul regolamento dell’Albo (oggi DM Ambiente 406/1998), e precisamente sull’articolo 8 che elenca le varie categorie in cui è ripartito l’Albo medesimo, ove si andrebbe a ridefinire la descrizione, prevista al comma 1, lettera d), della categoria 4, in una nuova del tipo: raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi e di rifiuti urbani non rientranti nel servizio pubblico.
Quindi dovrebbe essere sufficiente un Decreto Ministeriale per attuare tale modifica, magari in occasione del riordino dell’Albo così come richiesto espressamente nel nuovo comma 15 dell’art. 212 D.Lgs. 152/2006.
Per chi volesse promuovere tale modifica è possibile compilare un apposito modulo, che è stato condiviso da A.N.I.O.BA.M (Associazione Nazionale Italiana Operatori Bagni Mobili), all’indirizzo https://acrobat.com/#d=2*uiHmQoJqS6AAMx4I9brQ – occorre compilarlo, stamparlo e spedirlo all’indirizzo ivi indicato.
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