Inghiottiti dagli abissi del Mediterraneo, forse 700, forse 900 o chi lo sa, ascoltiamo quasi inermi con complice rassegnazione il susseguirsi dei bollettini via telegiornale, via social media.
Ricostruzioni agghiaccianti, la calca dei migranti che, all’avvicinarsi della nave di soccorso battente bandiera portoghese, si è riversata su un bordo del barcone, provocandone il rovesciamento.
Nelle acque nere della notte di sabato, decine di bambini, oltre 200 donne, centinaia di persone – stando alle ricostruzioni dei superstiti – mostrano all’occidente, e in particolare all’Europa, il prezzo della propria inconsistenza e delle proprie ormai svanite certezze di benessere e progresso.
Nei mesi scorsi papa Francesco ha detto che la Terza guerra mondiale è in corso “spezzettata”, e a farne le spese sono i poveri, i perseguitati, le vittime innocenti di un mondo dove disuguaglianza, fanatismo, disperazione sono ormai i motori delle azioni umane. I conflitti in atto non sono che manifestazioni in superficie di questa battaglia continua, strisciante, che sta provocando la maggiore ondata migratoria dal Secondo dopoguerra, la fuga da una terra arida di speranza e in mano a organizzazioni molto abili a mascherare i propri interessi economici dietro a inni o bandiere.
Questa volta la posizione dell’Italia non può essere passiva: al governo conviene un’esposizione forte, sia perché l’immobilismo a poche settimane dalle elezioni regionali potrebbe risultare decisivo in zone in cui la tematica è molto sentita – vedi il Veneto – sia perché ormai l’Unione europea non può sottrarsi ai propri doveri.
La sostituzione di Mare nostrum con il programma Triton è coincisa con un boom di sbarchi e, purtroppo, di vittime, che le organizzazioni stimano in quasi duemila solamente dall’inizio del 2015,a fronte di arrivi che solo negli ultimi sette giorni hanno superato i diecimila. Dimensioni davvero da esodo biblico, dove a stupire è l’inettitudine di istituzioni incapaci e sorde al grido di popolazioni stremate nelle mani di affaristi – trafficanti e scafisti – sempre più spregiudicati.
Renzi è appena tornato da Washington – dove, tra i temi all’ordine del giorno, si dovrebbe essere discusso anche di Libia. Purtroppo, della sortita americana non rimarrà molto di più delle foto alla Casa Bianca e del discorso del premier all’università di Georgetown. Nel frattempo, l’Europa – tramite l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini – sull’onda dell’emotività, indice riunioni e incontri, ma l’esito dei colloqui appare scontato.
Con la Libia in balia di due governi e il pericolo Isis ormai dentro ai propri confini, che appare molto ben radicato soprattutto negli ambienti del traffico internazionale di esseri umani – grande fonte di reddito per chiunque ci abbia a che fare – il governo italiano non ha più scuse. Il Mediterraneo, un tempo ponte tra le civiltà, canale di commerci fiorenti e via di possibilità, ora è ridotto a campo di battaglia di una lotta impari e senza una conclusione ipotizzabile.
Esprimere dolore e sensibilità come avvenuto ieri da parte del presidente del Consiglio, non basta più. Qui siamo di fronte a un puzzle ben studiato da parte di organizzazioni criminali senza volto, contro cui le parole non servono e, anzi, aumentano il senso di impotenza e creano sempre più terreno fertile per l’intolleranza.
Se davvero questa è la volta buona, come ripete da mesi il tam tam del premier, se davvero l’Italia deve cambiare e con essa anche il proprio ruolo all’interno della scena comunitaria, è ora che il governo alzi davvero la voce con i partner europei, con le Nazioni Unite e anche la Casa Bianca: se non per un motivo puramente politico, quantomeno per una questione di umanità. Forse, allora, riusciremo a trovare un barlume di senso in questa ennesima catastrofe del nostro tempo.
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