Al riguardo basta, infatti, ricordare due “fatti” per comprendere bene quanto rilevanti siano state le “iniquità” perpetrate, negli ultimi tempi, a danno dei pensionati:
- il blocco dell’adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita disposto a danno dei pensionati dei settori pubblico e privato per gli anni 2008, 2012, 2013 e, parzialmente, anche per il 2014.
La mancata rivalutazione delle pensioni, nelle percentuali quali periodicamente rilevate dall’ISTAT, ha comportato, ogni volta, per i pensionati un danno economico di rilevante portata non solo nell’immediato, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura della pensione di reversibilità, ove spettante ai superstiti.
Tali provvedimenti, nel disconoscere, infatti, l’incidenza obiettiva dell’erosione inflazionistica sui redditi considerati, di fatto, hanno comportato, nel tempo, una sostanziale decurtazione del valore reale delle pensioni, con grave pregiudizio per le economie delle famiglie e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.
Si pensi ad esempio come, in conseguenza del blocco disposto dal Governo Monti per il biennio 2012-2013, le pensioni superiori ad euro 1.441,59 nel 2012 e ad euro 1.486,29 nel 2013 (al lordo delle ritenute fiscali), malgrado le consistenti variazioni intervenute nel costo della vita, quali accertate dall’ISTAT, pari a + 2,7% nel 2012 e a + 3,0% nel 2013, non siano state rivalutate con grave ripercussione sulla economia familiare di oltre 5 milioni di pensionati che, a fronte di una considerevole crescita dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, si son visti “impoverire” la loro fonte, spesso unica, di reddito……si spera ora che la Corte Costituzionale, al cui vaglio è stata sottoposta la questione di legittimità costituzionale sollevata da taluni giudici (il Tribunale di Palermo, la Corte dei Conti della Liguria e la Corte dei Conti dell’Emilia Romagna), elimini tale iniquità e ristabilisca finalmente quelle garanzie e quelle certezze oggi così largamente disattese ponendo fine, una volta per sempre, a interventi arbitrari, adottati a danno dei pensionati, in dispregio di tutele e di diritti sanciti dalla Costituzione.
A tal riguardo anche il Parlamento Europeo con la Risoluzione Europea sulle Pensioni, adottata in data 21 maggio 2013, nel sottolineare una “errata sensibilità politica volta a percepire il tema pensioni più come un problema di finanza pubblica anzicchè come strumento di sviluppo economico da estrinsecarsi con il mantenimento del livello dei consumi e come volano di investimenti a medio e lungo termine”, deplora i forti tagli alle pensioni operati in taluni Paesi (tra cui il nostro) dal momento che “la riduzione delle prestazioni è solo indirizzata al risparmio di spesa senza tenere nella debita considerazione che ogni prelievo forzato finisce con l’incidere negativamente sui consumi e sulla occupazione determinando, spesso, situazioni di precarietà a livello delle singole famiglie soprattutto di quelle il cui unico reddito è solo pensionistico”
La pensione non è, infatti, un privilegio graziosamente elargito dallo Stato, ma un diritto soggettivo acquisito a seguito di versamenti obbligatori di contributi (parte dei quali posti a carico degli stessi lavoratori) da tutelare nei modi più appropriati al cui impegno non può sottrarsi lo Stato sociale trattandosi di un bene costituzionalmente tutelato (art. 38, secondo comma, della Costituzione);
- il mancato riconoscimento ai titolari di trattamenti pensionistici inferiori a 25 mila euro lordi annui del bonus di 80 euro netto mensile riconosciuto, a decorrere dal mese di maggio 2014, ai lavoratori dipendenti ricompresi nella medesima fascia reddituale.
Se è lodevole, infatti, venire incontro alle esigenze di vita dei lavoratori dipendenti che guadagnano poco (meno di 25 mila euro lordi all’anno) concedendo loro un contributo economico (80 euro netti al mese), di contro appare fortemente iniquo e penalizzante non procedere allo stesso modo nei confronti di altri soggetti (i pensionati) che si trovano nella medesima condizione.
Nel 2013 il 41,3% dei pensionati ha percepito un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese mentre il 39,4% ha beneficiato di una pensione compresa tra mille e duemila euro.
Tali dati, diffusi dall’ISTAT, sottolineano una realtà sconvolgente…ben l’80,7% ha fruito nel 2013 di un reddito da pensione inferiore a duemila euro al mese, al lordo delle ritenute fiscali….una condizione di grande precarietà per tantissimi pensionati a fronte della quale sorge spontanea una riflessione….il trattamento di pensione non è forse una “retribuzione differita” (come autorevolmente ribadito in più occasioni dalla Corte Costituzionale) che, al pari del salario percepito in costanza di lavoro, deve assicurare al pensionato ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti quali sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione?…..e allora perché non si è provveduto analogamente anche nei loro confronti?….
Come è dato chiaramente di vedere ancora una volta si è di fronte nei confronti dei pensionati ad una grave discriminazione gravemente lesiva del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Abbiamo riportato solo pochi esempi, quanto basta, però, per sottolineare, con la crudezza delle cifre, l’impoverimento di tanti pensionati, aggravato da distorsioni e disparità di trattamento poste in essere da “politiche” non sempre rispondenti ai dettami costituzionali.
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