Sono, dunque, nulli i provvedimenti firmati dai circa 1.200 dirigenti interessati (il 75% del totale), tra Agenzia delle Entrate (767), del Territorio e delle Dogane.
Le proroghe sono state disposte nel corso di vari anni, sotto i governi Monti, ***** e ***** per assicurare la funzionalità delle strutture.
Forse è arrivato il momento che si ripristini una guida politica chiara per supervisionare l’apparato delle entrate ed assumersi le responsabilità politiche, reintroducendo il Ministero delle Finanze, senza affidare tutto come oggi all’Agenzia delle entrate.
A) La sentenza della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 37 del 25/02/2015 (in. G.U. del 25/03/2015, n. 12), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
1) dell’art. 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 02/03/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e di potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26/04/2012;
2) dell’art. 1, comma 14, del D.L. n. 150 del 30/12/2013 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 15 del27/02/2014;
3) dell’art. 1, comma 8, del D.L. n. 192 del 31/12/2014 (Proroghe di termini previsti da disposizioni legislative).
Tutte le succitate norme sono state dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (sentenze della Corte Costituzionale n. 194 del 2002, n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010 e n. 293 del 2009).
Ricordiamo che la principale norma dichiarata incostituzionale, cioè l’art. 8, comma 24, cit. (le altre, invece, sono proroghe), testualmente disponeva:
“Fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volte a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248. Nelle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.165 . Ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti”.
Alla luce di quanto sopra, sono decaduti dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati in base alle succitate norme dichiarate incostituzionali e, di conseguenza, secondo me, sono illegittimi tutti gli avvisi di accertamento che hanno firmato nel corso dei vari anni, come cercherò di dimostrare nel presente articolo.
B) Statuto e Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.
1) Il Decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999, agli artt. 66-67 e 68, stabilisce che:
- le Agenzie fiscali sono regolate dal presente decreto legislativo, nonché dai rispettivi statuti, deliberati da ciascun comitato direttivo;
- gli Statuti recano i principi generali in ordine alla organizzazione ed al funzionamento dell’Agenzia;
- sono organi delle Agenzie fiscali il direttore, il comitato direttivo ed il collegio dei revisori dei conti;
- il Direttore rappresenta l’Agenzia e la dirige, emanando tutti i provvedimenti che non siano attribuiti, in base alle norme del presente decreto legislativo o dello statuto, ad altri organi.
2) Il Decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 testualmente dispone:
- “Le disposizioni del presente decreto disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto della autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell’articolo 97, comma primo, della Costituzione” (art. 1, comma 1);
- “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati” (art. 4, comma 2);
- “Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative” (art. 4, comma 3).
3) Tutte le suddette disposizioni si applicano all’Agenzia delle dogane, all’Agenzia del territorio e all’Agenzia delle entrate.
4) Statuto dell’Agenzia delle entrate.
Lo Statuto dell’Agenzia delle entrate è stato approvato con delibera del Comitato Direttivo n. 6 del 13 dicembre 2000 ed è stato aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21 marzo 2011.
In particolare, secondo lo Statuto:
- i dirigenti dell’Agenzia dirigono, controllano e coordinano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia (art. 11);
- l’Agenzia è articolata in uffici centrali e periferici. Tale articolazione, come da regolamento, corrisponde a quella in essere per le strutture del dipartimento delle Entrate, le cui funzioni, ai sensi dell’art. 57, comma 1, del decreto istitutivo, sono trasferite all’Agenzia (art. 13, comma 1).
5) Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.
Il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate è stato approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 (pubblicato nella G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001) ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012.
Il suddetto Regolamento stabilisce i seguenti principi e criteri direttivi:
- innanzitutto, l’Agenzia si conforma ai principi della Legge n. 241 del 07 agosto 1990, adottando propri regolamenti in materia di termini e di responsabili dei procedimenti e di disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi (art. 1, comma 2);
- le direzioni provinciali sono uffici di livello dirigenziale. In relazione alle dimensioni della direzione provinciale possono, inoltre, costituire posizioni di livello dirigenziale le strutture interne; l’individuazione di tali posizioni è effettuata con atto del Direttore dell’Agenzia (art. 5, comma 5);
- gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, per delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti. Il direttore della direzione provinciale monitora lo svolgimento delle attività svolte dagli uffici dipendenti, adottando i necessari interventi correttivi, ed ha la responsabilità dei risultati complessivi della direzione provinciale; formula, inoltre, al Direttore regionale le proposte di valutazione dei dirigenti della direzione provinciale (art. 5, comma 6);
- le dotazioni organiche complessive del personale dipendente dell’Agenzia sono così determinate (art. 10, comma 1):
a) dirigenti 873;
b) non dirigenti 33.770;
- il capo II del Regolamento è interamente destinato ai dirigenti, mentre il capo III riguarda la selezione e l’assunzione del personale non dirigente;
- i dirigenti sono responsabili degli obiettivi loro assegnati ed assicurano il rispetto degli indirizzi e l’attuazione delle direttive dei vertici dell’Agenzia. Sono preposti ad una unità organizzativa di livello dirigenziale, ovvero incaricati di funzioni ispettive, di assistenza e consulenza all’alta direzione, di studio e ricerca, di coordinamento di specifici progetti (art. 11, comma 1);
- i dirigenti sono responsabili della gestione del personale e delle risorse finanziarie e materiali finalizzate al conseguimento dei risultati sulla base degli obiettivi loro assegnati, disponendo dei necessari poteri di coordinamento e di controllo (art. 11, comma 2);
- l’accesso al ruolo di dirigente dell’Agenzia avviene, per i posti vacanti e disponibili, con procedure selettive pubbliche sia dall’esterno che dall’interno, nel rispetto dei principi di cui all’art. 35 del succitato Decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 (art. 12, comma 1);
- gli incarichi di funzione dirigenziale sono conferiti tenendo conto delle caratteristiche della posizione dirigenziale da ricoprire e dei programmi da realizzare (art. 14, comma 1);
- infine, gli incarichi medesimi sono conferiti a tempo determinato, da tre a cinque anni, con facoltà di rinnovo, ai dirigenti appartenenti al ruolo dell’Agenzia. Gli incarichi in scadenza possono essere prorogati, fermo restando che il periodo di permanenza nell’incarico non può essere inferiore a tre anni (art. 14, comma 2);
- la durata dell’incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell’interessato (art. 40, comma 1, lett. c), n. 1, del Decreto legislativo n. 150/2009).
In definitiva, da tutto quanto sopra esposto, risulta evidente che le direzioni provinciali dell’Agenzia delle entrate (ma lo stesso vale per l’Agenzia del territorio e delle dogane) sono uffici di livello dirigenziale ed i relativi dirigenti devono sottoscrivere gli avvisi di accertamento o delegare altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti.
Pertanto, se i dirigenti sono stati nominati in base alle specifiche leggi dichiarate incostituzionali (vedi lett. A del presente articolo) gli avvisi di accertamento che hanno sottoscritto o le deleghe che hanno conferito sono totalmente illegittimi, in base alla Legge n. 241 del 07 agosto 1990, espressamente richiamata dall’art. 1, comma 2, del succitato Regolamento di amministrazione.
C) LEGGE N. 241 DEL 07 AGOSTO 1990.
La Legge n. 241 del 07 agosto 1990 determina i casi di efficacia ed invalidità dei provvedimenti amministrativi.
1) Nullità assoluta del provvedimento.
L’art. 21 septies testualmente dispone:
“E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
In particolare, si tratta di una nullità assoluta (c.d. inesistenza giuridica), che può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio, come più volte stabilito dalla giurisprudenza (Cass., sent. n. 12104 del 2003).
Gli avvisi di accertamento firmati (anche su delega) da un dirigente che tale non è, per tutto quanto sopra esposto, rientrano, secondo me, in una delle suddette ipotesi di nullità assoluta:
- perchè l’atto è viziato da un difetto assoluto di attribuzione, in quanto sottoscritto da un non-dirigente;
- perché gli avvisi non legittimamente sottoscritti rientrano in una ipotesi di nullità espressamente prevista dalla legge (artt. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600 del 29/09/1973, e successive modifiche ed integrazioni, e 56, comma 1, D.P.R. n. 633 del 26/10/1972, e successive modifiche ed integrazioni).
A tal proposito, non bisogna dimenticare che, prima del mutamento del quadro normativo, la Corte di Cassazione aveva affermato che la dichiarazione iva non sottoscritta, non essendo riferibile ad alcun dichiarante, priva com’è di un elemento essenziale per la produzione degli effetti che la legge le ricollega, doveva essere considerata inesistente sul piano giuridico e non sanabile (Cassazione, sentenze n. 2662 del 1992 e n. 7957 del 1995).
I cittadini sono sempre sanzionati con un certo zelo anche se sbagliano involontariamente; ci aspettiamo che, nella questione oggetto del presente articolo, non si facciano eccezioni per i funzionari pubblici.
2) Annullabilità del provvedimento.
L’art. 21 octies, comma 1, testualmente dispone:
“E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
In particolare, si tratta di una nullità relativa, che deve essere espressamente eccepita dalla parte.
Anche in questo caso, gli avvisi di accertamento illegittimamente firmati devono essere annullati:
- perché adottati in violazione di legge (artt. 42 e 56 citati);
- perché viziati da incompetenza, che si verifica quando l’atto amministrativo eccede dalla sfera di attribuzioni riservata all’organo preposto ed è, quindi, un vizio attinente al soggetto, soprattutto per quanto riguarda il grado (c.d. incompetenza per grado).
D) GLI AVVISI DI ACCERTAMENTO.
L’art. 42, comma 1, D.P.R. n. 600 cit. testualmente dispone:
“Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.
La stessa disposizione si applica anche ai fini IVA (art. 56, comma 1, D.P.R. n. 633 cit., per l’espresso richiamo alle disposizioni in materia di imposte sui redditi), come più volte riconosciuto dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10513 del 23 aprile 2008 della Sezione Quinta Civile – Tributaria).
L’art. 42, comma 3, D.P.R. n. 600 cit. testualmente dispone:
“L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma” (come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 2, D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001).
Di conseguenza, un avviso di accertamento (IVA e ******) non sottoscritto dal capo dell’ufficio, che deve necessariamente essere un dirigente (come da Regolamento di amministrazione, di cui alla lett. B), n. 5, del presente articolo), è nullo se firmato da un non-dirigente a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, perché nominato in base a leggi dichiarate incostituzionali.
Lo stesso discorso vale nel caso di delega, in quanto se la delega è stata rilasciata da un non-dirigente si rientra sempre in una ipotesi di nullità.
In definitiva, se chi ha sottoscritto l’atto non è dirigente perché la sua nomina era illegittima anche l’atto lo sarà e questo vizio di nullità, tassativamente previsto dalla legge, ha effetti meccanici sulla validità degli atti.
E) LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
In merito al succitato art. 42, commi 1 e 3, la Corte di Cassazione ha correttamente stabilito i seguenti principi.
1) “La dizione letterale, inequivocabile, della norma rende manifestamente inaccettabile la tesi, logicamente principale, della P.A. ricorrente secondo la quale “ai fini della validità dell’accertamento tributario è necessario che sia certa la provenienza dell’atto amministrativo all’ufficio competente essendo indifferente che esso sia sottoscritto dal Capo dell’ufficio o da un soggetto (qualsiasi, comunque) da lui delegato.
Al contrario, sulla base, appunto, della lettera della citata disposizione legislativa, e ribadendo un’enunciazione di principio già ricavabile da Cass., Sez. I civile, sent. n. 6836 del 22/07/1994, deve ritenersi, e statuirsi, che gli accertamenti in discorso sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo.
Inoltre, la validità della delega a tale sottoposto conferita può essere contestata e verificata in sede giurisdizionale, implicando l’indagine e l’accertamento sul tema un controllo non sull’organizzazione interna della P.A. ma sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione” (in tal senso, Cass., Sez. Tributaria, sentenza n. 14195 del 27 ottobre 2000, più volte citata e ripresa in altre sentenze della stessa Corte di Cassazione).
2) “Si osserva che, ai sensi dell’art. 42 cit., commi 1 e 3, l’accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Su tale premessa, se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare, per il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 20, comma 1, lett. a) e b) della legge n. 266/1987, richiamato dall’Amministrazione resistente, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (come la stessa resistente riconosce attraverso l’esplicito richiamo agli ordini di servizio), onde, in caso di contestazione, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, incombe all’Amministrazione dimostrare l’esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega” (in tal senso, Cass. Sez. Tributaria, sentenza n. 14626 del 10 novembre 2000).
F) LE SENTENZE DELLA CORTE DI CASSAZIONE CITATE DALLA SENTENZA N. 37/2015 DELLA CORTE COSTITUZIONALE.
La Corte Costituzionale, nella più volte citata sentenza n. 37/2015, nel censurare le leggi che hanno consentito la possibilità di nominare dirigenti senza concorso, ha, giustamente, rilevato che le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate consentivano la possibilità di ricorrere all’istituto della delega anche a funzionari per l’adozione di atti di competenza dirigenziale e, a tal proposito, cita quattro sentenze della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – , che, secondo l’Amministrazione finanziaria, avrebbero sanato l’illegittimità degli avvisi di accertamento.
Questo non corrisponde al vero perché:
- il rilievo della Corte Costituzionale sta a significare che l’operatività funzionale delle Agenzie delle entrate si poteva salvaguardare con la delega a funzionari non dirigenti, sempre concessa però da dirigenti legittimi, peraltro per un periodo provvisorio, ma non come è stato fatto (e giustamente censurato) nominando direttamente ex lege dirigenti senza concorso;
- in secondo luogo, le sentenze citate, come analizzeremo in seguito, non giustificano affatto avvisi di accertamento firmati (o delegati) da non dirigenti.
1) Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 18515 del 10/06/2010, depositata in cancelleria il 10/08/2010.
Secondo la succitata sentenza, “compete al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali, ovvero ad un impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell’esercizio dei poteri organizzativi dell’ufficio, la funzione di sottoscrivere gli avvisi, con i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti, indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza esaurisce i propri effetti nell’ambito del rapporto di servizio con l’Amministrazione”.
Della lettura della suddetta sentenza si rileva che:
- è sempre previsto un ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto;
- in ogni caso, il capo dell’ufficio può anche non rivestire la qualifica dirigenziale ma, come più volte precisato, questo deve essere un caso eccezionale e provvisorio la cui nomina deve avvenire in base all’istituto della delega (come chiarito dalla Corte Costituzionale) e non in base ad una nomina ex lege senza concorso, come nelle ipotesi che stiamo analizzando.
Infatti, è bene più volte precisare e sottolineare che i dirigenti dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale:
- sono stati nominati in base alla legge n. 44/2012, con decorrenza dal 29/04/2012, censurata dalla Corte Costituzionale;
- non c’entra assolutamente il particolare e provvisorio istituto della delega che il capo dell’ufficio, che deve sempre essere un dirigente, può assegnare ad altri dirigenti o funzionari (come previsto dall’art. 5, comma 6, del Regolamento di amministrazione del 27/12/2012, citato in precedenza, peraltro aggiornato proprio il 27/12/2012, dopo la succitata sentenza n. 18515/10, depositata in cancelleria il 10 agosto 2010).
Oltretutto, la succitata sentenza si è limitata a citare soltanto gli artt. 66, 67 e 68 D.Lgs. n. 300/99, già citato, non tenendo conto dello Statuto del 13/12/2000, peraltro aggiornato il 21 marzo 2011 (vedi lett. B, n. 4, del presente articolo), cioè dopo il deposito della sentenza avvenuto il 10 agosto 2010).
2) Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – T – sentenza n. 17400 del 27/09/2012, depositata in cancelleria l’11/10/2012.
La succitata sentenza, correttamente, ha stabilito il seguente principio:
“Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. *****, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 20, comma primo, lett. a) e b), del D.P.R. 08 maggio 1987, n. 266, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzare essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio” (in tal senso, Cassazione, Sez. 5 – sentenza n. 14626 del 10/11/2000; Sez. 5 – sentenza n. 14195 del 27/10/2000, in precedenza già citate e commentate).
Tutte le succitate sentenze distinguono correttamente:
- la figura del capo dell’ufficio, che deve sempre essere un dirigente, come più volte dimostrato nel presente scritto;
- la figura del personale appartenente alla nona qualifica funzionale, istituita dall’art. 2 D.L. n. 9 del 28 gennaio 1986, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 78 del 24 marzo 1986, che soltanto in casi eccezionali e ben documentati può espletare le seguenti funzioni (art. 20 D.P.R. n. 266/1987):
a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento;
b) reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare (per un caso analogo si rinvia a Cassazione, sentenza n. 8166 del 06/06/2002).
Di conseguenza, è ulteriormente confermato il principio che il capo dell’ufficio deve sempre essere un dirigente, mentre il funzionario della nona qualifica può provvisoriamente sostituire il dirigente solo in caso di assenza o impedimento del dirigente o può reggere l’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare e, logicamente, tutte queste situazioni eccezionali e temporanee devono essere preventivamente documentate dall’Agenzia delle entrate.
E’ facile, quindi, notare che, al di fuori dei casi di sostituzione e reggenza, gli avvisi di accertamento firmati da non dirigenti, illegittimamente nominati ex lege, sono totalmente nulli.
3) Corte di Cassazione, Sezione Quinta civile, sentenza n. 17044 del 27 aprile 2013, depositata in cancelleria il 10 luglio 2013.
La succitata sentenza prevede due ipotesi.
a) La nullità dell’avviso di accertamento non legittimamente firmato dal capo dell’ufficio e, ovviamente “in caso di contestazione……..incombe all’amministrazione provare l’esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega (Cass., ****., 10 novembre 2000 n. 14626)”. Oltretutto, la citata sentenza richiama la sentenza della Cass. n. 18515/2010, già in precedenza commentata (si rinvia al precedente n. 1).
b) “La legittimazione processuale” dell’ente impositore, poi, non va verificata in base all’art. 42 D.P.R. n. 600 del 1973 ma sulla scorta del (diverso) disposto dettato dall’art. 11 D.Lgs. n. 546 del 1992, sul controllo della cui esatta osservanza non esercita nessuna influenza (l’accertamento della) eventuale carenza di delega del sottoscrittore dell’atto impositivo”. Infatti, le ipotesi di illegittimità dell’avviso di accertamento, per i casi in questione, si devono, logicamente, tenere distinte dalle ipotesi di “legittimazione processuale”, di cui si accennerà in seguito.
4) Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, sentenza n. 220 del 29 ottobre 2013, depositata in cancelleria il 09 gennaio 2014.
La suddetta sentenza:
- richiama l’art. 5 del Regolamento di amministrazione (vedi lett. B, n. 5, del presente scritto), nel senso che gli avvisi di accertamento non devono necessariamente essere firmati dal Direttore Generale ma dai dirigenti delle Direzioni Provinciali (art. 5, comma 5, più volte citato);
- sbaglia quando scrive “l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia, approvato con Delibera del Comitato direttivo 13 dicembre 2000 n. 6, attribuisce al Direttore Generale potere di delega (senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato)” sia perché non tiene conto degli aggiornamenti fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21 marzo 2011 sia perché il citato art. 6 testualmente dispone alla lett. d):
“provvede, nei limiti e con le modalità previsti dalle norme e dai contratti collettivi, alle nomine dei dirigenti sottoponendo quelle relative alle strutture di vertice alla valutazione preventiva del comitato di gestione” (vedi lett. B, n. 4 del presente articolo); quindi, non è vero che lo Statuto dell’Agenzia attribuisce al Direttore Generale potere di delega senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato;
- ammette la possibilità della delega all’interno degli uffici finanziari (Cass., sent. ,. 14815/11);
- ritiene che la provenienza dell’atto dell’ufficio e la sua idoneità ad esprimere la volontà si presume, finchè non sia provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, l’usurpazione dei relativi poteri (Cass., sentenza n. 874/09), come nel caso di firma illeggibile.
Infatti, è un’ipotesi totalmente diversa da quella oggetto del presente articolo, quella della firma illeggibile, che la Corte di Cassazione ha ritenuto valida in quanto riferita all’ufficio di provenienza, a meno che non si contesti la riferibilità all’ufficio.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che, quando la firma del sottoscrittore risulta indecifrabile o incompleta, si deve ritenere l’atto emesso da funzionario legittimato ad esprimere la volontà dell’organo, a meno che non si dimostri la non autenticità della sottoscrizione o la insussistenza della legittimazione del sottoscrittore; in tal senso, Cassazione con le seguenti sentenze:
– n. 874/09;
– n. 9673/04;
– n. 10773/06;
– n. 12768/06;
– n. 9600/07.
Pertanto, la citata sentenza della Corte di Cassazione n. 220/14, che peraltro si riferisce al diniego di un condono, non ha assolutamente legittimato la firma di un non dirigente ma ha soltanto ribadito che il Direttore Generale può nominare un delegato ed inoltre la illeggibilità della firma è sempre riferibile all’ufficio di provenienza, a meno che non si contesti la riferibilità stessa.
Per questi motivi, non sono d’accordo con quanto scritto dal dott. ************* (in Il Sole 24 Ore di martedì’ 07 aprile 2015).
G) ONERE DELLA PROVA.
Nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza dell’art. 42 D.P.R. n. 600/73 citato, incombe sempre all’Agenzia delle entrate (e delle altre Agenzie) l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega, legittimamente conferita.
Tale conclusione è effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento.
In tal senso, correttamente, la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 17400/12, citata;
- n. 14626/00, citata;
- n. 14195/00, citata;
- n. 14942 del 21/12/2012, depositata in cancelleria il 14 giugno 2013.
Inoltre, la Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante e consolidata, ha precisato che:
“A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte” (Cass., ******************************** -, sentenza n. 10513 del 22/02/2008, depositata in cancelleria il 23 aprile 2008).
Si citano, inoltre, le seguenti sentenze della Cassazione sul medesimo principio:
- Sez. 5 – n. 10267 del 16/05/2005;
- Sez. 5 – n. 12262 del 25/05/2007;
- Sez. 5 – n. 2487 del 06/02/2006.
Infine, si ribadisce ancora una volta che tutti i principi esposti nel presente articolo si applicano non solo agli avvisi di accertamento delle imposte dirette ma anche agli avvisi di rettifica e di accertamento dell’IVA, perché l’art. 56 D.P.R. n. 633/72 citato, nel riferirsi al comma 1 ai modi stabiliti per le imposte dirette, richiama implicitamente il D.P.R. n. 600/73 citato e, quindi, anche il più volte citato art. 42 sulla nullità dell’avviso di accertamento, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
In tal senso, si citano le seguenti sentenze della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile:
- n. 10513/08;
- n. 18514/10;
- n. 19379/12;
- n. 14942/13, già citata.
H) IL C.D. “FUNZIONARIO DI FATTO”.
Sulla validità degli avvisi di accertamento sino ad oggi firmati dai non dirigenti la parola d’ordine in Agenzia è quella che i provvedimenti pre sentenza della Corte Costituzionale sono salvi attraverso la figura del c.d. “funzionario di fatto” (articolo di *****************, in Italia Oggi di venerdì 27 marzo 2015).
Ciò non è assolutamente esatto.
L’espressione “funzionario di fatto” viene utilizzata con riferimento a quelle ipotesi in cui l’atto di investitura del titolare dell’organo sia viziato o manchi del tutto (per un utile approfondimento sul tema, si rinvia all’insegnamento di Diritto Amministrativo della Prof.ssa ***********, Università Telematica Pegaso).
E’ costante l’orientamento giurisprudenziale che vede nella tutela della buona fede del privato destinatario il fondamento di salvaguardia dell’atto.
Infatti, occorre precisare che le soluzioni prospettate investono soltanto i casi in cui gli atti adottati dal funzionario di fatto siano favorevoli ai terzi destinatari, e non certo quando siano sfavorevoli, come nel caso in questione.
Infatti, la notifica di un avviso di accertamento firmato da un non dirigente è un atto sfavorevole al contribuente, che ha quindi interesse a contestarlo per farlo dichiarare illegittimo.
Inoltre, ove l’atto di nomina sia stato annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, il suo effetto invalidante si ripercuoterà negativamente anche su quello adottato sul suo presupposto, consentendo l’impugnabilità all’interessato senza preclusione.
Sull’argomento, il Consiglio di Stato ha stabilito i seguenti principi.
1) “Il fondamento del principio del funzionario di fatto risiede nell’esigenza di non turbare le posizioni giuridiche acquisite da tutti coloro che in buona fede sono entrati in rapporto con il funzionario e di evitare ai privati continue e difficoltose indagini sulla regolarità della posizione dei pubblici funzionari: pertanto, il fatto in sé dell’avvenuto esercizio del potere non è opponibile con effetto preclusivo al privato che intenda contestarlo” (sentenza n. 6 del 22 maggio 1993).
2) “La teoria che riconosce legittimi gli atti compiuti dal funzionario di fatto si fonda sull’esigenza di garantire i diritti dei terzi che vengono a contatto col funzionario medesimo e si sostanzia, dunque, nella tutela della buona fede del privato; ed in questa prospettiva gli effetti presi in considerazione dalla teoria in esame sono solo quelli favorevoli al privato (Cons. Giust. Reg. Sic. n. 170 del 24/03/1960; C. di S., Sez. V, n. 1160 del 15/12/1962; Sez. IV, n. 145 del 13/04/1949).
3) “Ritiene il Collegio al riguardo che la teoria del funzionario di fatto trova due ordini di limiti:
- l’uno derivante proprio dal fatto che l’interessato insorga negando il potere di chi ha emesso gli atti;
- l’altro proprio dalla tutela della buona fede del terzo, nel senso che detta teoria può essere invocata a vantaggio del terzo, ma non a danno del terzo” (Consiglio di Stato – Sezione 4 -sentenza n. 853 del 20 maggio 1999).
4) “E’ vero che la dichiarazione di ineleggibilità può avere effetto retroattivo, ma ciò non rende ipso facto invalidi gli atti compiuti nel frattempo; si deve, infatti, applicare il principio del “funzionario di fatto” grazie al quale, in linea di massima, gli atti compiuti restano validi, a meno che non siano stati impugnati nelle forme e nei termini dovuti, facendo valere proprio il vizio del difetto di titolo di chi ha agito come funzionario” (Consiglio di Stato, Sezione 3, sentenza n. 6534 del 19 dicembre 2012).
5) In definitiva, l’eventuale eccezione del c.d. “funzionario di fatto” non ha ragion d’essere se il contribuente impugna tempestivamente l’avviso di accertamento illegittimo, facendo rilevare che l’atto è stato emesso a suo danno e non certo a suo vantaggio.
Infatti, la giurisprudenza ha elaborato la regola non scritta secondo la quale gli atti medio tempore posti in essere dal funzionario di fatto vengono comunque imputati all’Amministrazione in virtù del rapporto organico, e si presumono legittimamente assunti. La suddetta regola vale, però, per gli atti favorevoli al privato, per quelli sfavorevoli occorre distinguere tra diverse ipotesi.
Nel caso in cui l’atto sia stato adottato da un soggetto la cui rivestitura risulti viziata ab origine, lo stesso sarà sicuramente invalido (difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies Legge 241/1990).
All’ipotesi del titolo nullo o inefficace va assimilato il caso in cui la nomina sia già stata annullata dall’autorità giudiziaria o dall’amministrazione stessa al momento dell’adozione del provvedimento, posto che anche in questo caso il titolo ha perduto retroattivamente efficacia, per effetto dell’annullamento giurisdizionale, al momento dell’adozione dell’atto lesivo. Anche in questo caso, quindi, non può che applicarsi la soluzione della nullità del provvedimento sfavorevole adottato da un soggetto privo di legittimazione.
In definitiva, quindi, tutti gli avvisi di accertamento firmati da non dirigenti, logicamente se nominati in base alle specifiche norme dichiarate incostituzionali (vedi lett. A del presente articolo), devono essere tempestivamente impugnati alle competenti Commissioni Tributarie per tutti i motivi di diritto esposti nel presente articolo, ribadendo che:
- il capo ufficio deve sempre essere un dirigente , ed in quanto tale deve firmare gli avvisi di accertamento o rilasciare le deleghe (lett. B del presente articolo);
- nella fattispecie, non si può eccepire la tesi del c.d. “funzionario di fatto” perché l’avviso di accertamento è stato emesso e notificato a danno del contribuente, e non certo a suo vantaggio, come dimostrato con le succitate sentenze del Consiglio di Stato.
La sentenza della Corte Costituzionale colpisce la normativa denunziata di incostituzionalità, non anche, direttamente, gli atti amministrativi che formano oggetto del giudizio tuttora pendente davanti al Consiglio di Stato, Sezione Quarta, che, con l’ordinanza del 26 novembre 2013, aveva sollevato la questione di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
In ogni caso, l’esito del giudizio davanti al massimo organo della giurisdizione amministrativa appare, sinceramente, scontato, a meno che il legislatore non intervenga, medio termine, per sanare il passato (come, purtroppo, è abituato a fare, soprattutto nella materia fiscale; basta ricordare la vicenda delle firme delle cartelle esattoriali), anche se, in questo caso, a forte rischio di rinnovata illegittimità (basta leggere i resoconti dei giornali di questi giorni).
E’ apprezzabile e condivisibile, pertanto, l’esortazione del Prof. *************, secondo il quale “i difensori faranno bene a sollevare ogni eccezione ed a formulare i rilievi del caso, facendo richiamo alla pronuncia della Consulta, attivando, quindi, un fermento contestativo, problematico, come sempre, ma seriamente coltivabile e comunque doveroso, sul piano professionale” (articolo pubblicato su Ipsoa Quotidiano del 26 marzo 2015).
Pertanto, non si tratta assolutamente di una lite temeraria, contrariamente a quanto scritto dal dott. ************* (in Il Sole 24 Ore di martedì 07 aprile c.a.).
I) RUOLI ILLEGITTIMI.
Secondo me, le stesse contestazioni da fare per gli avvisi di accertamento si possono fare nei confronti dei ruoli che hanno determinato la formazione e notificazione delle cartelle esattoriali.
L’art. 24, comma 1, D.P.R. n. 602 del 29/09/1973, dopo le modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, testualmente dispone:
“L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce secondo le modalità indicate con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica”.
Il Decreto Ministeriale n. 321 del 03 settembre 1999 (in G.U. n. 218 del 16 settembre 1999) stabilisce che:
- i ruoli sono formati direttamente dall’ente creditore (art. 1, comma 1);
- i ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica al CNC, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione, denominati concessionari, in conformità alle specifiche tecniche approvate con il Decreto dirigenziale dell’11 novembre 1999 (art. 2, comma 1).
Di conseguenza, i ruoli devono essere firmati dal dirigente dell’ufficio (si rinvia sempre al Regolamento di amministrazione, commentato alla lett. b, n. 5), del presente articolo) e, pertanto, in sede processuale, si possono proporre le stesse eccezioni di illegittimità da sollevare avverso gli avvisi di accertamento.
Infatti, il ruolo può essere impugnato dinanzi le Commissioni Tributarie unitamente alla cartella di pagamento, entro 60 giorni dalla notifica della stessa ai sensi e per gli effetti dell’art. 19, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 (in tal senso, Cassazione, Sez. Tributaria, sentenze n. 6612 del 26/06/1999 e n. 17351 del 17/11/2003).
Infine, poiché l’illegittimità in questione determina, secondo me, una nullità assoluta (c.d. inesistenza giuridica, si rinvia alla lett. C), n. 1, del presente articolo), detta inesistenza può essere rilevata anche d’ufficio dai giudici tributari, in ogni stato e grado del giudizio, e, costituendo una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento amministrativo e processuale, può persino essere fatta valere con ricorso per Cassazione (Cassazione, Sezione Civile, sentenza n. 12104 del 2003, già citata).
In ogni caso, si è in attesa della pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione alla quale è stata rimessa la questione dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo, con ordinanza della Sesta Sezione Civile – T n. 16055 dell’11 luglio 2014.
L) STRATEGIE PROCESSUALI.
In tutti i casi prospettati nel presente articolo, secondo me, citando la normativa e la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, qualora gli avvisi di accertamento ed i ruoli risultassero firmati da uno dei dirigenti sub iudice dell’Agenzia delle entrate (nonché dell’Agenzia delle dogane e dell’Agenzia del territorio), i contribuenti ed i loro difensori farebbero bene a dedurne subito la nullità per difetto di sottoscrizione, in quanto di provenienza da soggetto non legittimato ed abilitato, assumendo a parametro di riferimento l’art. 42 D.P.R. n. 600/1973 più volte citato (vedi lett. D).
La vigente normativa in materia di contenzioso tributario indica, in via generale, nell’art. 10 D.Lgs. n. 546 cit. le parti del processo dinanzi le Commissioni tributarie, contrapponendo al contribuente “l’ufficio” che ha emanato l’atto (Cassazione, sentenza n. 2432/2001).
Di conseguenza, proprio in base agli articoli 10 e 11 D.Lgs. n. 546 cit., la Cassazione ha precisato e ribadito il seguente principio:
“Gli uffici locali dell’Agenzia, esplicazione territoriale dell’Agenzia centrale, sono, quindi, legittimati ad agire ed essere convenuti nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie ed in questi sono rappresentati dal Direttore nominato, avente funzione dirigenziale, che per la gestione e l’adempimento dei compiti ad esso demandati può delegare suoi diretti collaboratori a scopi determinati” (Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 3058 dell’08/02/2008).
Nello stesso senso, Cassazione, Sez. Tributaria, con sentenza n. 13908 del 28/05/2008.
Oltretutto, in un caso, la Cassazione, Sez. *************, con la sentenza n. 6338 del 10/03/2008 ha statuito che:
“Le costituzioni in giudizio, inoltre, erano state firmate dal responsabile dell’ufficio, Direttore pro-tempore, nel rispetto del disposto dell’art. 42 (D.P.R. n. 600/73 cit.)”.
In ogni caso, per stabilire le relative strategie processuali, bisogna distinguere a seconda che gli atti sottoscritti dai non dirigenti abbiano natura sostanziale o processuale.
1) Atti di natura sostanziale – Elencazione –
Gli atti di natura sostanziale sono, in generale, gli avvisi di accertamento, di rettifica ed i ruoli dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dell’Agenzia del territorio (pensiamo agli atti di classamento, per esempio).
In particolare, gli atti impugnabili, oggetto dei ricorsi, che potrebbero essere dichiarati nulli perché sottoscritti, anche per delega, da non dirigenti sono (art. 19 D.Lgs. n. 546/1992):
- l’avviso di accertamento del tributo;
- l’avviso di liquidazione del tributo;
- il provvedimento che irroga le sanzioni;
- il ruolo (vedi lett. I);
- gli atti relativi alle operazioni catastali;
- il rifiuto espresso della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
- il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari.
2) Atti di natura processuale in primo grado.
In tutti i suddetti casi, secondo me, il contribuente ed il suo difensore devono:
a) proporre tempestivo ricorso con i motivi esposti nel precedente scritto (art. 18, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 546 cit.);
b) per i ricorsi già pendenti, nei quali l’eccezione del difetto di sottoscrizione e di delega è stata già fatta, presentare memorie difensive (art. 32 D.Lgs. n. 546 cit.), alla luce della più volte citata sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale;
c) per i ricorsi pendenti nei quali la relativa eccezione non è stata proposta, secondo me, presentare subito memorie integrative (art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.) per la sopravvenuta conoscenza della citata sentenza della Corte Costituzionale, eccependo la nullità assoluta (c.d. di inesistenza) degli atti impugnati (vedi lett. C, n. 1, del presente articolo), che peraltro potrebbe essere eccepita d’ufficio in ogni stato e grado del processo tributario;
d) contestare le controdeduzioni delle Agenzie fiscali (art. 23 D.Lgs. n. 546 citato), perché soltanto i dirigenti (anche per delega) curano la trattazione del contenzioso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, commi 3, 5 e 6, del Regolamento di amministrazione (vedi lett. B, n. 5, del presente articolo);
e) sapere, infine, che una volta sollevate le relative eccezioni, è sempre onere esclusivo delle Agenzie fiscali (art. 2697 c.c.) dimostrare e documentare che (vedi lett. G del presente articolo):
– il dirigente firmatario era legittimato o perché vincitore di regolare concorso o perché nominato in base a leggi diverse da quelle dichiarate inconstituzionali (vedi lett. A del presente articolo);
– la delega al funzionario firmatario dell’atto era stata rilasciata da un dirigente legittimo, logicamente con atto precedente alla contestazione del ricorrente;
– il funzionario firmatario dell’atto era stato nominato ed autorizzato soltanto nelle eccezionali e documentate ipotesi di:
- affidamento di mansioni superiori (art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001);
- sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento (art. 20, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 266 dell’08/05/1987, già citata);
- reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare (art. 20, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 266 dell’08/05/1987, già citato); in merito, Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 8166 del 06 giugno 2002.
Al di fuori delle suddette tassative e temporanee ipotesi, l’atto sottoscritto da un funzionario della nona qualifica, senza una preventiva e legittima delega da parte di un vero dirigente, è totalmente nullo, perché non è vero che la legge e la giurisprudenza della Corte di Cassazione riconoscono sempre legittimità agli atti riconducibili al capo ufficio, sia egli o meno un dirigente, come esposto e documentato nel presente articolo.
Gli atti tributari privi della sottoscrizione del legittimo dirigente responsabile sono eccezionalmente validi a partire dal 1° luglio 2009 ex art. 15, comma 7, D.L. n. 78/2009, che testualmente prevede:
“La firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzia fiscali e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati” (Provvedimento del direttore dell’Agenzia fiscale del 02/11/2010; Corte Costituzionale sent. n. 117/2000; Cass. sentenze n. 4923/2007, n. 22692 del 29/10/2007, n. 13461 del 27/07/2012);
f) in conclusione, sapere che se l’Agenzia non riesce a dimostrare e provare, con documenti preventivi ed autenticati (non semplici fotocopie, da contestare ex art. 2712 codice civile), che il sottoscrittore dell’atto o della delega era un legittimo dirigente, l’atto stesso è totalmente nullo.
3) Atti di natura processuale in grado di appello e Cassazione.
Le medesime eccezioni si devono proporre anche nei gradi successivi del processo tributario.
a) Appello.
Il contribuente ed il suo difensore, in caso di rigetto dell’eccezione devono:
– proporre l’appello principale (art. 53 D.Lgs. n. 546 cit.);
– proporre l’eventuale appello incidentale (art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.);
– sapere che le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate (art. 56 D.Lgs. n. 546 cit.);
– eccepire l’inammissibilità dell’atto di appello (principale o incidentale) sottoscritto da un non dirigente o su delega rilasciata da un non dirigente, a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale (artt. 53, comma 1, e 18, comma 3, D.Lgs. n. 546 citato).
Infatti, la qualità di parte nel processo tributario compete sempre all’ufficio locale dell’Agenzia fiscale, con titolarità a ricevere le notifiche di ogni atto processuale e, in particolare, delle sentenze e dei ricorsi per Cassazione, tranne i casi in cui sia già intervenuta l’assunzione della difesa da parte dell’ufficio del contenzioso della Direzione regionale o dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi e con le modalità di cui agli artt. 23, 53 e 54 D.Lgs. n. 546/1992 cit..
b) Ricorso per Cassazione.
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale può sempre essere proposto ricorso per Cassazione per i motivi di diritto dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile (art. 62 D.Lgs. n. 546 citato).
In particolare, in Cassazione bisogna eccepire, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600/1973, art. 56, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, ed art. 2697 del codice civile (per un’analisi e commento della giurisprudenza della Corte di Cassazione si rinvia alle lettere E) ed F) del presente articolo).
M) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Da tutto quanto sopra esposto ed eccepito, risulta evidente che gli atti sottoscritti (o le deleghe concesse) da uno dei dirigenti “illegittimi” a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale sono affetti da nullità assoluta (e non relativa) e, nella fattispecie, non è mai applicabile l’art. 156, commi 1 e 2, c.p.c. sia perché gli atti amministrativi impugnabili non sono “atti del processo” sia perché sono stati emanati a danno e non a vantaggio dei contribuenti (vedi lett. C), n. 1, e lett. H) del presente articolo) e, soprattutto, mancano del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo (art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600 cit. e lettere D), E), F) ed I) del presente articolo), a meno che l’atto si sia reso definitivo per mancata impugnazione o a seguito di sentenza passata in giudicato.
La Corte di Cassazione, con l’importante sentenza n. 5924 del 21 aprile 2001, in merito agli artt. 156 e 160 c.p.c. ha correttamente precisato che tali articoli “operano esclusivamente con riguardo agli atti del processo e non rispetto a quelli aventi contenuto sostanziale.
In particolare, poiché l’avviso di accertamento è atto non processuale, ma esplicativo della potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria, la relativa notificazione non attiene all’inizio di un procedimento giurisdizionale e non è possibile, conseguentemente, applicare ai vizi della notifica il regime delle sanatorie proprie degli atti processuali”.
Tali principi, tuttora applicabili, sono da condividere pienamente e tenere a conto nella presente questione:
– in primo luogo, sotto un profilo letterale, perché l’art. 156 c.p.c. è dettato con riferimento ai soli atti del processo, mentre quelli impositivi delle Agenzie fiscali sono atti sostanziali, essi configurandosi quali atti recettivi che si perfezionano solo ed in quanto legittimamente portati a conoscenza dei loro destinatari nelle forme tassativamente prescritte dalla legge;
– in secondo luogo, la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c. è indissolubilmente connessa allo scopo proprio dell’atto affetto dal vizio insanabile; senonchè, come correttamente rilevato dalla Corte di Cassazione con la succitata sentenza, non è possibile sostenere che la finalità assegnabile alla notifica dell’atto impositivo consista nel non consentire al destinatario dell’atto medesimo di esperire la tutela giurisdizionale nei suoi confronti. Talchè, la proposizione del ricorso, seppur tempestiva, non costituisce raggiungimento dello scopo dell’atto ed è, pertanto, priva di efficacia sanante;
– da ultimo, se si verificasse siffatta efficacia sanante, l’alternativa in cui verrebbe a trovarsi il destinatario dell’atto impositivo sarebbe la seguente: o far divenire definitivo tale atto, omettendo di impugnarlo nel termine tassativo previsto dalla legge, oppure, esperire il ricorso, così precludendosi la possibilità di far valere i vizi che affliggono l’atto impugnato.
Orbene, una simile alternativa si lascia respingere da sola, perché condurrebbe, in definitiva, al risultato di confinare comunque nell’irrilevanza i vizi degli atti in questione.
Inoltre, a scanso di equivoci, è bene chiarire subito che nella presente questione non è assolutamente applicabile, secondo me, l’art. 21 octies, comma 2, della Legge n. 241/1990 citata (articolo inserito dall’art. 14 della Legge n. 15 dell’11 febbraio 2005), che testualmente dispone: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
La suddetta disposizione non è applicabile perché:
– l’avviso di accertamento ed il ruolo non hanno natura vincolata ma discrezionale, individuandosi con tali termini l’attività amministrativa della pretesa tributaria conseguente alla rideterminazione dell’imposta o dell’imponibile in misura diversa da quella rappresentata dal contribuente, nei casi ed alle condizioni previsti dalle singole leggi d’imposta;
– non è detto che gli atti di cui sopra sarebbero stati firmati da un “vero” dirigente vincitore di concorso (art. 97, comma 3, della Costituzione).
A tal proposito, è utile riportare quanto opportunamente scritto dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 37/2015:
“Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti.
Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità né al modello dell’affidamento di mansioni superiori ad impiegati appartenenti ad un livello inferiore né all’istituto della cosiddetta reggenza” (vedi, anche, Corte Costituzionale, sentenza n. 17 del 2014 e Corte di Cassazione – Sezione lavoro – sentenze n. 8529 del 12/04/2006 e n. 7342 del 26/03/2010).
L’affidamento, la sostituzione e la reggenza sono, infatti, istituti straordinari e temporanei consentiti nei casi ed alle condizioni tassativamente previsti dalla legge (Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenze n. 4060 del 22/02/2010; n. 3814 del 16/02/2011 e n. 10413 del 14/05/2014), che le Agenzie fiscali hanno l’onere di dimostrare in caso di contestazione (art. 2697 del codice civile).
A tal proposito, secondo me, il contribuente ed il suo difensore non devono attivarsi con la Legge n. 241/1990 per conoscere i nomi dei soggetti coinvolti nell’assurda vicenda (oltretutto, molti siti già riportano gli elenchi).
Infatti, nel dubbio, il ricorrente deve sempre sollevare la relativa eccezione perché è onere delle Agenzie fiscali dimostrare il contrario (vedi lett. G del presente articolo).
Si ribadisce ancora una volta che questa eccezione deve essere sollevata per tutti gli atti (vedi lett. L, n. 1, del presente articolo) emanati dal 2012:
– dall’Agenzia delle entrate (art. 62 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999);
– dall’Agenzia delle dogane (art. 63 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999);
– dall’Agenzia del territorio (art. 64 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999).
Ultimamente, è da segnalare l’interessante e condivisibile sentenza n. 3818 di marzo 2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (in Gazzetta del Mezzogiorno di domenica 05 aprile 2015, pag. 17), che ha dichiarato nullo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate e sottoscritto da un delegato firmatario, se dall’atto non emergono né le funzioni attribuitegli né il periodo di efficacia della delega, non essendo ammissibile una delega a tempo indeterminato (art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165/2001, più volte ciato).
Intanto, il Governo sta cercando una soluzione al delicato problema.
L’idea è quella di trovare un rimedio in due tempi.
Subito, un provvedimento per tamponare l’emergenza e poi una soluzione strutturale.
L’intervento immediato dovrebbe passare per lo strumento della c.d. “delega di funzioni”.
Un istituto già previsto dalla normativa vigente che permette ai dirigenti di affidare ad un proprio funzionario non solo la potestà di firma degli atti ma anche di trasferirgli una sua specifica funzione, senza però particolari indennità, come chiarito in precedenza.
La soluzione strutturale, invece, sarebbe quella di riaprire il concorso a 403 posti già banditi dall’Agenzia e sospeso dal Consiglio di Stato per l’eccessivo peso dato ai titoli professionali; titoli che, nelle nuove selezioni, non verrebbero valutati.
L’importante è che la nuova legge non sia un espediente per aggirare la sentenza della Corte Costituzionale e, soprattutto, non sia un “colpo di mano” per sanare, con effetti retroattivi, gli atti illegittimi firmati da non dirigenti.
Infatti, per quanto attiene al rispetto dei limiti che devono essere assegnati ad un’interpretazione adeguatrice, “lo sconfinamento della stessa nel campo riservato al legislatore non può essere certamente rilevato dal giudice, potendo dar luogo soltanto ad un’ipotesi di conflitto, che può essere denunciato soltanto dagli organi dello stesso potere legislativo” (in tal senso, Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 22601 del 02/12/2004).
Speriamo che non si ripeta la nota e triste vicenda delle cartelle esattoriali prive dell’indicazione del responsabile del procedimento, sanate se consegnate agli agenti della riscossione prima dell’01 giugno 2008, nonostante un precedente e critico intervento della Corte Costituzionale (art. 36, comma 4-ter, D.L. n. 248 del 31/12/2007, convertito dalla Legge n. 31 del 28/02/2008 e Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 16/E del 06 marzo 2008), calpestando i principi dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27 luglio 2000).
Infatti, in questa vicenda, il legislatore deve rispettare lo Statuto dei diritti del contribuente (purtroppo, spesso ignorato), e cioè:
– le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo (art. 3, comma 1, Legge n. 212 cit.);
– i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede (art. 10, comma 1, Legge n. 212, cit.);
– il Garante del contribuente rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi (art. 13, comma 7, Legge n. 212 cit.).
Speriamo bene!!!!
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