Il caso de quo, riguardava una madre e quattro figli che effettuavano alcune rinunce alle rispettive quote di comproprietà immobiliari a favore dell’altro figlio / fratello e dall’altro il medesimo figlio / fratello si impegnava a rinunciare a favore dei fratelli ai diritti di comproprietà che gli sarebbero potuti derivare su altri cespiti.
I quattro comproprietari fratelli effettuavano con scrittura privata la divisione del bene oggetto della rinuncia a loro favore mediante apporzionamento di singoli corpi di fabbrica del medesimo.
Gli stessi convenivano in giudizio un terzo, che in forza di una sentenza, che gli riconosceva l’ usucapione sull’ intero cespite oggetto dell’ accordo divisionale, eccepiva la carenza di legittimazione previsto dall’ art. 782 c.c. con riguardo all’atto ( atto pubblico) e violazione del divieto ex art. 458 c.c. del patto successorio di rinunzia.
L’ art. 809 c.c. definisce la donazione indiretta, come una particolare forma di donazione che, pur essendo posta in essere con forme diverse rispetto a quelle tipiche della donazione, produce gli effetti di un atto di liberalità, ossia l’impoverimento del donante e l’arricchimento del donatario. Sono considerate esempi di donazione indiretta, ove vi sia spirito di liberalità, la remissione di debito, la rinuncia dell’eredità pura e semplice, il contratto a favore di terzo,
Per la validità di una donazione indiretta è sufficiente l’osservanza delle prescrizioni di forma richieste per l’atto da cui essa risulta, in quanto l’art. 809 c.c., mentre assoggetta le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c. alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni, non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass. n. 1214/1997).
Tanto premesso, la Cassazione decideva nel merito sostenendo che: “ costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari. In tal caso si è infatti di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perchè l’ acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l’ eliminazione dello stato di compressione in cui l’ interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell’ appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell’ atto pubblico richiesta per quest’ ultimo”.
In riferimento al patto successorio, i ricorrenti chiedevano il riconoscimento del principio secondo cui il patto medesimo inserito in una scrittura privata contenente una pluralità di rinunce a sua volte collegata ad un successivo negozio giuridico tra i medesimi sottoscrittori avente ad oggetto la divisione dei cennati diritti reali immobiliari, fosse in rapporto di interdipendenza ed inscindibilità tanto con le clausole inserite nella prima stipulazione, quanto con il successivo negozio giuridico.
Sicchè, in quanto predisposto in vista di uno scopo unitario, tale patto successorio rivestiva natura essenziale nell’ economia dell’ accordo negoziale e la sua intrinseca nullità inficiava ex art. 1419 primo comma, c.c. la validità dell’ intera stipulazione che lo conteneva nonché del successivo negozio giuridico ad esso collegato.
I giudici di legittimità sull’ argomento ritennero che: “ l’ indagine diretta a stabilire se la pattuizione nulla debba ritenersi essenziale va condotta con criterio oggettivo, in funzione del permanere o meno dell’ utilità del contratto in relazione agli interessi che si intendono attraverso di esso perseguire, quali risultano individuati attraverso l’ interpretazione del negozio ( Sez. III, 21 maggio 2007, n. 11673).
Pertanto l’applicabilità del principio di conservazione deve escludersi solo quando la clausola o il patto nullo si riferiscano ad un elemento essenziale del negozio, oppure si trovino con altre pattuizioni in tale rapporto di interdipendenza che queste non possono sussistere in modo autonomo, nel senso che il contratto non si sarebbe concluso senza quella clausola nulla o quel patto nullo ( Sez. II, 4 dicembre 2003 n. 18535).
Nel caso in oggetto la denunziata violazione dell’ art. 1419 c.c. non sussiste, in quanto è da escludersi un rapporto di interdipendenza tra il patto successorio nullo e la parte residua dei negozi racchiusi nelle scritture private”.
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