Una settimana fa uscivano in Gazzetta Ufficiale i primi due decreti attuativi della riforma del lavoro, i provvedimenti relativi al contratto a tutele crescenti e agli ammortizzatori sociali destinati a chi ha perso l’occupazione.
Da una parte, dunque, si inaugurava la nuova era post Fornero nel mercato del lavoro nazionale, con il contratto a tempo indeterminato che torna al centro del sistema di reclutamento delle aziende.
Dall’altra parte, però, la revisione dell’articolo 18 – immutato nella forma, ma assai diverso nei criteri di applicazione – consentirà alle compagnie di interrompere con ampia discrezione i rapporti con i dipendenti.
In particolare, il Jobs Act ammette che i datori di lavoro possano licenziare il lavoratore anche in assenza di giustificato motivo oggettivo, purché si rimanga nell’ambito dei licenziamenti economici o disciplinari. L?obbligo di reintegra, infatti, vale esclusivamente per i licenziamenti discriminatori, che in vigore fino all’avvento della riforma Renzi-Poletti.
L’unica strada per il lavoratore è quella di dimostrare palesemente di fronte al giudice l’insussistenza del fatto contestato, obbligando, così, il datore di lavoro anche a un risarcimento.
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In alternativa, il licenziamento è sempre esecutivo e al lavoratore spetta un indennità non sottoposta a contributi previdenziali, che calcola due mensilità per ogni anno lavorato, in misura comunque non inferiore a quattro. Ciò significa che, in caso di licenziamento per i primi due anni di lavoro, al dipendente non spetta alcun indennizzo con il contratto a tutele crescenti.
A questo, infatti, si riferiscono le tutele: cioè a rendere monetizzabile il rapporto di lavoro nel corso della sua durata nel tempo. Il tetto massimo è quello delle ventiquattro mensilità, cioè 12 anni di lavoro. Al di là, non viene riconosciuto ai lavoratori.
Rimane, comunque, valida la nuova Naspi, che viene accordata a quanti abbiano perso il proprio lavoro per ragioni indipendenti dalla propria volontà: si tratta della vecchia indennità di disoccupazione. Vai al testo definitivo del decreto sulla Naspi
Precari per sempre?
Dopo l’uscita in Gazzetta dei primi due decreti, si attende la conferma degli altri due: uno sulla maternità, che verrà allargata anche alle titolari di rapporti di lavoro a termine, e l’altro sul precariato, che renderà desueti i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
A partire dal primo gennaio 2016, infatti, questo genere di accordi non potrà essere stipulato, anche se resteranno comunque attivabili altre modalità di lavoro atipico, ivi compreso il vecchio tempo determinato, la cui durata massima, anche qui, non potrà superare i due anni.
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