Ora, grazie a Hervé Falciani, inizia a togliersi il velo da un occultamento globale di denaro potenzialmente sterminato, con le banche svizzere da troppo tempo sospettate di essere la cassaforte del capitalismo globale, lì dove i valori erano al riparo dalle tassazioni locali e, soprattutto, dove nessuno faceva troppe domande sulla loro provenienza.
Nell’ormai lontano 2006, infatti, il tecnico ora noto in tutto il mondo, aveva messo a punto la rete informatica del colosso bancario Hsbc, vedendosi, però, rifiutare le proposte di contrasto agli evasori che, a suo dire, avrebbero trovato vita troppo facile con il sistema in uso. A partire da quel momento, allora, iniziava il suo scontro contro il mondo del credito, in un’ingrabugliata spy story tra Europa e Medio Oriente, con gli effetti che stanno venendo alla luce in questi giorni.
Non è eccessivo sostenere che la “lista Falciani” stia facendo tremare broker, società, addirittura governi e monarchie all’apparenza immutabili. Sono 106.458 i soggetti compresi nell’elenco, che avrebbero depositato nei caveau della Hsbc svizzera una somma superiore a 100 miliardi di dollari, per un totale di 81454 conti correnti nel periodo compreso tra il 1988 e il 2007.
Di questi correntisti, oltre settemila sarebbero cittadini italiani, con i nomi delle famose celebrità che, oggi, spopolano su settimanali e quotidiani. E’ il caso già ribattezzato “Swissleaks” per le evidenti affinità che negli ultimi anni, hanno riguardato sia Wikileaks, ma soprattutto il caso sulla National Security Agency.
Anche se i loro profili personali sono alquanto differenti, infatti, Falciani risulta già ascritto a quel manipolo di individui che hanno osato mettersi contro giganti del mondo globale minando interessi di vastità sconosciuta. Quale che siano le finalità che hanno mosso l’italo-francese, infatti, è indubbio che il suo lavoro sia un primo, importante colpo alla cortina fumogena che da troppo tempo aleggia nel sistema creditizio di un Paese al centro, non solo geografico, dell’Europa.
Vicende che, in salsa europea, riportano alla mente quelle di Bradley Manning ed Edward Snowden, fonti di profondi imbarazzi per l’amministrazione Usa di Barack Obama e dei suoi predecessori.
Il primo, Manning, è la “gola profonda” sulla mole di dati pubblicata da Julian Assange nel 2010 in merito alle guerre in Medio Oriente e la politica estera americana. Oggi, risulta condannato a trentacinque anni di carcere e congedato con disonore. Snowden, invece, è l’uomo che, con la complicità del giornalista Glenn Greenwald, ha portato all’attenzione del mondo il caso della Nsa, la National Security Agency americana, accusandola di spiare le comunicazioni e le telefonate di milioni di cittadini nel proprio territorio e anche all’estero. Per lui, è sempre la Russia a concedere asilo.
Personalità tra loro molto lontane nei tratti umani, ma assai somiglianti nelle proprie lotte solitarie. Tutti e tre sono informatici e hanno “tradito” in maniera simile il sistema di cui facevano parte, fosse l’esercito americano, i sistemi di sorveglianza di supporto all’intelligence o le banche svizzere. Raccogliendo con indubbio merito sfide impossibili, hanno raccontato informazioni top secret, rinunciando alla propria carriera e mettendo in serio pericolo la propria vita per svelare agli occhi del mondo il funzionamento di apparati sfuggenti e pervasivi. Partendo da premesse molto distanti, i nuovi simboli della trasparenza globale condividono, loro malgrado, anche i frutti delle loro battaglie: ora, chi si trova esule (Snowden), in carcere (Manning) o in località segrete sotto scorta, pur in contatto con il governo francese (Falciani).
Se a distinguerli, erano le motivazioni di partenza, ad accomunarli, allora, è il destino del whistleblower. Anche dove – nel mondo anglosassone – si è cercato di valorizzare questi comportamenti, il premio per chi rivela pezzi di verità, scoperchiando possibili violazioni di diritti fondamentali – o, nel caso di Falciani, un’enorme evasione fiscale – è quello di essere costretti a nascondersi, a vivere in cattività o – nel peggiore dei casi – in prigione.
In Italia, è stato il governo Monti a inserire per la prima volta la figura del whistleblower in una legge, l’anticorruzione 2012, senza, però, ottenere risultati significativi.
Non c’è dubbio: il caso della lista Falciani, che al momento in Italia ha portato alla denuncia di 190 persone, può essere emblematico, godendo dell’interesse e della simpatia da parte dell’opinione pubblica. In epoca di austerity, tra salvataggi ancora oscuri di banche al collasso e strette al credito mai allentate, una crociata contro l’opacità del sistema bancario non può che incontrare i favori dell’opinione pubblica. Anche per questo, allora, l’annunciata nuova legge anticorruzione non può ignorare il valore di una pratica come quella della denuncia volontaria, incentivando, da una parte, i comportamenti virtuosi – specie nella pubblica amministrazione – e proteggendo, dall’altra, chi li mette in pratica. E, soprattutto, facendo in modo che certi esempi non rimangano illustri casi isolati.
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