In passato si è non poco equivocato sul termine di detto certificato, avendo la giurisprudenza e la dottrina fatto riferimento al concetto di abitabilità in relazione ai fabbricati destinati, per l’appunto, ad essere abitati mentre l’agibilità è stata riferita a tutti gli altri edifici ad uso non residenziale, ossia opifici, uffici, esercizi pubblici e commerciali.
Per evitare possibili confusioni, sul piano concettuale ed applicativo, il legislatore del 2001, con il T.U. DPR 380 ha operato per ridurre ad unità i termini di agibilità–abitabilità, dedicando al tema gli artt. 24, 25 e 26, da cui si evince quanto segue.
Le ipotesi per cui è necessario richiedere il certificato di agibilità (termine indifferentemente utilizzato per gli edifici abitativi e non) riguardano:
- i. le nuove costruzioni, le ricostruzioni o sopraelevazioni totali o parziali, gli interventi negli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di igiene e sicurezza;
- ii. tra queste sono da ricomprendersi le case urbane e rurali nonché tutti gli altri edifici, come luoghi di pubblico ritrovo, uffici, scuole, magazzini ed altri analoghi ambienti soggetti a frequentazione, residenza o comunque permanenza delle persone e non invece per gli edifici destinati ad usi industriali, da assoggettare a diversa disciplina e per i manufatti non destinati alla residenza o alla frequenza delle persone, come i c.d. capannoni adibiti al ricovero di attrezzi e materiali.
Va precisato che in base alla normativa vigente, il certificato di agibilità viene rilasciato dal Comune ed ha la funzione precipua di attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati e non solo la regolarità urbanistica del bene.
Si ritiene che il concetto di agibilità ricomprende tutti controlli e le verifiche attinenti alla sicurezza dell’immobile, introdotte negli anni dal legislatore, dovendo, il relativo concetto, intendersi in senso ampio in quanto attinente non solo alla igiene e alla salubrità dell’immobile e degli impianti in esso installati, ma anche alle condizioni qualitative dell’edificio come pure alla statica dello stesso, valutata alla luce di indagini a carattere geognostico (v. relazione al T.U.).
In questo senso ed in ordine agli standards di sicurezza, il certificato di agibilità è da considerarsi “autosufficiente”.
In conclusione, il certificato di agibilità è soprattutto posto a presidio dell’interesse particolare dell’acquirente attestando la capacità del bene ad assolvere alla funzione economico-sociale cui è destinato (in tal senso v., ex multis, Cass. 25/02/2002 n. 2729; Cass. 20/04/2006 n. 9253), assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
È da escludersi, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, che esso garantisca anche la regolarità tecnico-edilizia dell’immobile realizzato, spiegandosi in questo modo il motivo per cui, a seguito del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, può accadere che non possa seguire il rilascio dell’agibilità. In tale direzione, invero, sembra condurre il Consiglio di Stato, il quale, con le recenti sentenze 2014/1220 e 2014/4309, ha stabilito che il titolo abilitativo (il permesso a costruire) ed il certificato di agibilità non sono tra loro sovrapponibili, in quanto il primo serve a valutare il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche mentre l’agibilità è volta al controllo delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico. In questo senso, il certificato di agibilità deve essere rilasciato anche se l’immobile è stato realizzato in difformità rispetto al titolo abilitativo. Parzialmente diversa appare l’interpretazione fornita dalla Cassazione, la quale nella pronuncia 12.10.2012 n.17498 ha enunciato il principio secondo cui “ il certificato di agibilità nel regime degli art. 24 e 25 del DPR 380/2001 è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti ma anche alla conformità edilizia dell’opera, sicché, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, con il rilascio di detto permesso devono intendersi verificate, salvo prova contraria,entrambe le suddette condizioni, senza necessità – per il contraente obbligato far constare la loro esistenza- di produrre un certificato ulteriore”
La agibilità si ottiene a seguito di apposita domanda, ad opera del soggetto che ha ottenuto il permesso di costruire o da colui che ha presentato denuncia di inizio di attività, e dei suoi successori o aventi causa, entro 15 giorni dalla ultimazione dei lavori, pena, in difetto, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
Il rilascio del certificato di agibilità , deve avvenire entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, ad opera del Dirigente o del Responsabile dell’ufficio Comunale preposto, trascorso inutilmente il quale si forma il c.d silenzio assenso, per espressa previsione normativa, a condizione che la istanza sia corredata della documentazione richiesta dall’art.25 del Testo Unico 2001/380 ed allorché la pubblica amministrazione può avvalersi del parere della ASL competente (cfr, ex multis, Cass. 16.5.2013 n. 2665 e Tar Lazio 3.7.2013 n.6580)
Il suddetto termine è elevato a sessanta giorni se esso può essere sostituito da una autocertificazione dell’interessato (salvo i casi di interruzione di detto termine ai fini della acquisizione di documentazione integrativa così come previsto dall’ art. 25, comma 5, del Testo Unico 2001/380). L’attribuzione di agibilità non esclude, per effetto del silenzio assenso, la possibilità di contraria dichiarazione del Sindaco per ragioni igieniche ex art. 222 T.U. di Sanità, espressamente richiamato dall’art. 26 del T.U. 2001/380.
Ciò posto, va a questo punto affrontato lo specifico tema della incidenza della c.d. agibilità sulla contrattazione degli immobili che necessitano di tale attestato.
Ed, invero, potrebbero presentarsi le seguenti emergenze che è d’uopo esaminare singolarmente:
- i. l’immobile è dichiaratamente non agibile, il compratore ignora tale stato ed il contratto tace sul punto;
- ii. l’immobile è dichiaratamente non agibile ma le parti hanno convenuto di negoziare ugualmente il bene nonostante tale evidenza perché la compravendita, ad esempio, può soddisfare notevoli interessi del compratore che renderebbero ininfluente inter partes la circostanza;
iii.l’immobile non è ancora dichiarato agibile per difetto di presentazione della domanda oppure perché la stessa è in itinere e le parti si determinano ugualmente alla stipula del rogito di compravendita con l’impegno del venditore di consegnare al compratore il certificato ovvero di formulare entro un dato termine la relativa richiesta;
iv. l’immobile venduto è originariamente agibile ma successivamente alla compravendita interviene un provvedimento di inagibilità da parte della P.A.
Tali sono le ipotesi che più di frequente si presentano nella prassi e che pongono talvolta dubbi interpretativi di non facile soluzione.
Procedendo per gradi ed affidandoci alla elaborazione giurisprudenziale, che costituisce utile riferimento per la soluzione della problematiche in questione, dobbiamo subito segnalare che è ormai consolidato l’orientamento del Giudice della Nomofilachia secondo cui l’ottenimento del certificato di agibilità non rappresenta più una condizione di validità del contratto, così ritenuto da una giurisprudenza ormai risalente, la quale ravvisava l’alienazione dell’immobile privo di detto requisito come un contratto nullo per illiceità dell’oggetto ex art. 1346 C.C. in virtù di una presunta contrarietà alle norme urbanistiche.
Si è obiettato, al riguardo, che nessuna norma imperativa contempla un obbligo di preventivo rilascio di detta certificazione, come già accennato, posta a tutela del singolo compratore e non rispondente ad un funzione urbanistica generale (v. ex multis Cass. 05/10/2000 n. 13270; Cass. 20/04/2006 n. 9253). In questo senso, l’atto di compravendita di un immobile, in cui non risulti attestata la sussistenza della agibilità, è perfettamente valido poiché nessuna violazione di legge può essere configurabile, come anche ritenuto costantemente dalla giurisprudenza amministrativa.
La mancanza della agibilità, quindi, può venir in rilievo sotto il profilo dell’inadempimento del venditore, ravvisandosi in capo a quest’ultimo, in detta ipotesi, una responsabilità per alienazione ALIUD PRO ALIO, non potendo il bene scambiato assolvere alla funzione economico-sociale che gli è propria.
È bene ricordare che la vendita aliud pro alio, di creazione giurisprudenziale, è configurabile allorché la cosa consegnata sia del tutto diversa da quella dedotta in contratto perché appartiene ad un genus differente o presenta difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti. Quest’ultima caratteristica , nella consolidata giurisprudenza di legittimità, risulta integrata per effetto della mancanza del certificato di agibilità, ritenuto in grado, per l’appunto, di condizionare il bene ad assolvere alla sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità del bene (v. ex multis Cass. 23/03/1999 n. 2712; Cass. 08/07/2008 n. 18859; Cass. 23/01/2009 n. 1701; Cass. 11/10/2013 n. 23157; e da ultimo Cass. 14/01/2014 n. 629).
Dalla vendita aliud pro alio si distingue quella in cui la cosa presenta un vizio (oggetto di garanzia ex art. 1476 n. 3) che ne compromette l’idoneità all’uso cui è destinata o ne diminuisce in maniera apprezzabile il valore (art. 1490 C.C.) nonché quella in cui la cosa, invece, è priva delle qualità promesse ed essenziali (art. 1497 C.C.) ossia la carenza di quegli attributi che sostanzialmente esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio del bene.
In buona sostanza, vizi e mancanza di qualità della cosa venduta sono accomunati dal requisito dell’appartenenza del bene allo stesso genus: ma mentre il vizio c.d. redibitorio riguarda le imperfezioni ed alterazioni materiali della cosa, la mancanza di qualità si riferisce a tutti quegli elementi che condizionano la classificazione del bene in un tipo o specie determinata (così in dottrina, Galgano Vendita, in Enciclopedia del diritto, Milano 1993 p. 493; Commentario Codice Civile Scialoja -Branca, Bologna 1989 p. 229).
Corollario di detta distinzione è che l’azione redibitoria per i vizi della cosa e quella estimatoria per la mancanza delle qualità promesse sono soggette a stringenti termini di decadenza (8 giorni dalla scoperta) e di prescrizione (1 anno dalla consegna), laddove quella diretta a far valere l’eccezione di aliud pro alio è svincolata da detti termini prescrizionali e soggetta a quello ordinario decennale.
In presenza dei vizi della cosa ex art. 1490 e 1497 C.C. il compratore può esperire l’azione redibitoria (di risoluzione), che è un rimedio ripristinatorio connesso all’alterazione della garanzia del venditore, avente una disciplina diversa rispetto alla azione generale ex art. 1453 C.C. del contratto in quanto di carattere oggettivo, che prescinde dalla colpa del venditore stesso, ovvero quella estimatoria (quanti minoris), finalizzata a ristabilire il rapporto di corrispettività e controprestazione con riguardo al minor valore della cosa venduta, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
In presenza di una vendita aliud pro alio, ravvisabile per effetto dellla mancata consegna del certificato di agibilità, il compratore potrebbe esperire, svincolato dai termini prescrizionale brevi delle altre due figure patologiche anzidette, sia la domanda di risoluzione del contratto (in cui dovrà essere valutata l’importanza dell’inadempimento) sia quella risarcitoria, sia l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 C.C. (così Cass. 23/01/2009 n. 1701; Cass. 27/11/2009 n. 25040; Tribunale di Pescara 07/04/2011; Tribunale di Monza 31/05/2011), in relazione all’art. 1477 CC che impone al venditore di conseguire e consegnare il certificato di agibilità, che pur non costituendo una condizione di validità del contratto di compravendita, attiene, come già accennato, ad un requisito essenziale della cosa venduta in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto.
In due recenti sentenze della Cassazione si sottolinea e ribadisce particolarmente che “il certificato di agibilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché (per l’appunto) vale ad incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere alla sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità”. “Pertanto, il compratore può far valere la responsabilità contrattuale del venditore che si configura per la consegna aliud pro alio, permettendogli di richiedere il risarcimento danni per la ridotta commerciabilità del bene.” In questo senso v. Cass. 14/01/2014 n. 629 ed in senso conforme, ex multis, Cass. 11/10/2013 n. 23157.
Nella prima delle indicate decisioni, viene fatta salva l’ipotesi in cui l’acquirente abbia espressamente rinunciato all’agibilità ed esonerato, comunque, il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza (così anche Cass. 26/01/2006 n. 1514, Tibunale Larino 17.11.2009) mentre a nulla rileverebbe la conoscenza della mancanza di detta attestazione.
V’è da dire, a tal riguardo, che la Corte di Cassazione ha anche ritenuto di mitigare tale affermazione, escludendo l’ipotesi di aliud pro alio nel caso in cui sia intervenuto il successivo rilascio del certificato de quo (così v. Cass. 18/03/2010 n. 6548). Ma anche nel caso in cui la compravendita, non accompagnata dalla certificazione di agibilità, abbia per oggetto immobili collocati in uno stabile d’epoca, nello stato di fatto e di diritto come visto e gradito dalla parte acquirente, dovendo, all’uopo, valutarsi anche la esiguità del prezzo ed altre circostanze sufficienti a dimostrare la conoscibilità delle caratteristiche funzionali del bene in capo alla parte acquirente ( v. Cass. 21.01.2013 n. 1373). Ed,invero, il mancato rilascio di detta certificazione, al momento del contratto, non sempre può giustificare automaticamente la richiesta di risoluzione dovendosi accertare in concreto le motivazioni ed il fatto, ad esempio, che sia stato ottenuto in ritardo e, quindi, considerare che, comunque, il contratto stesso ha raggiunto la sua funzione economico-sociale con la consegna successiva (v. Cass. 8.1.2013 n. 259). Vanno registrate, però, decisioni in senso sostanzialmente difforme ( a dimostrazione della complessità della materia e della necessità di valutare caso per caso). Così la Cassazione, in una pronuncia rigorosa per i conseguenti effetti, ha ritenuto, in presenza di un preliminare, legittimo il recesso del promittente compratore, preceduto da una diffida ad adempiere del promittente alienante, rilevatasi inutile, con condanna di quest’ultimo a ripetere quanto versato a detto titolo, proprio in ragione della mancanza del certificato di agibilità al momento della convocazione avanti il Notaio, per la stipula del definitivo, a nulla rilevando che l’immobile era stato costruito in conformità della licenza edilizia ed alle norme igienico-sanitarie tanto che successivamente detta attestazione era stata rilasciata dalla Autorità competente e che il ritardo fosse riconducibile alle dedotte inerzie di carattere burocratico del Comune; e,ciò, sulla base della considerazione dell’interesse del promittente acquirente ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere alla funzione economico-sociale e, quindi, a soddisfare i concreti bisogni che inducono il medesimo all’acquisto, donde la essenzialità del requisito della agibilità, anche ai fini del legittimo godimento del bene e della sua commerciabilità, per cui la mancanza del documento, al momento della diffida ad adempiere, costituiva grave inadempimento del promittente venditore , tale da giustificare il rifiuto a contrarre del promittente acquirente, a nulla rilevando il successivo rilascio del certificato, essendosi in quel momento ormai cristallizzato l’inadempimento, nonché il fatto che nel preliminare era stato dichiarato che l’immobile era promesso in vendita nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava atteso che la mera conoscenza della mancanza della agibilità, per la sua funzione come sopra ricordata, rendeva la clausola di mero stile per non essere accompagnata dalla rinuncia alla stessa agibilità formulata espressamente dal promittente compratore ( in questo senso, Cass. 27.11.2009 n.25040)
A questo punto, riprendendo l’esame in relazione alle anzidette ipotesi che potrebbero presentarsi in una compravendita in cui il certificato di agibilità non è stato conseguito, tenuto conto dei principi appena ricordati, avremmo le seguenti situazioni.
PRIMA IPOTESI
Essa potrebbe verificarsi in quanto l’immobile non è ultimato ovvero perché, pur in presenza di una costruzione ultimata, non è stato avviato o concluso l’iter per il rilascio del certificato. È questo il caso che più di ogni altro riconduce l’inadempimento del venditore alla ipotesi della vendita aliud pro alio, per cui non fornendo il certificato di agibilità questi fornirebbe un bene diverso da quello negoziato.
Una tale soluzione non è pacifica ancorché appaia essere la più accreditata. Ed invero si obietta che per aversi una vendita aliud pro alio deve ricorrere la assoluta diversità tra cosa negoziata e cosa effettivamente consegnata laddove, nell’ipotesi de qua, la cosa negoziata (appartamento) corrisponde alla cosa consegnata ma con la carenza di un elemento. Secondo parte della dottrina tale ultima ipotesi configurerebbe più propriamente una ipotesi di vendita viziata o mancante delle qualità promesse.
La distinzione tra aliud pro alio, vizi redibitori e mancanza delle qualità essenziali non è di facile applicazione nel caso concreto ma risulta di notevole importanza sul regime giuridico della conseguente azione esperibile.
L’inquadramento normativo nella vendita aliud pro alio, infatti, come già accennato, rende utilizzabile il generale rimedio previsto dall’art 1453 C.C. esonerando il compratore dall’osservare i termini di prescrizione o decadenza, previsti dagli artt. 1490 e segg. C.C. per disciplinare i vizi e la mancanza delle qualità promesse. Nel primo caso l’azione generale di risoluzione del compratore resta esperibile entro il termine di prescrizione ordinaria e non è soggetto all’onere della denuncia, laddove nel secondo caso il compratore avrebbe a disposizione le c.d. azioni edilizie, coltivabili entro il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta del vizio o della mancanza delle qualità e soggette al termine annuale di prescrizione, decorrente dalla consegna della cosa ex art. 1497 C.C.
Chiaramente occorre distinguere la situazione in cui versa un immobile che possieda i requisiti per ottenere la certificazione di agibilità, invero per qualche ragione non ancora ottenuto, da quella in cui l’immobile in concreto non possieda detto requisito. Tale distinzione è importante, come rilevato dal S.C.(v. 2010/6548 già citata), non senza opinioni diverse come appena visto, perchè la omessa consegna del certificato di agibilità non è sufficiente tout court ad integrare la ipotesi di consegna aliud pro alio, richiedendosi, a tal fine, che non sussistano le condizioni per ottenerla. Sotto tale profilo, allora, nella ipotesi di mera mancanza del certificato di agibilità non potrebbe senz’altro pronunciarsi la risoluzione contrattuale, dipendendo dalla valutazione – in riferimento a quanto previsto dall’art.1477, 3°co, C.C.(in ordine all’obbligo di consegna dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà ed all’uso del bene compravenduto ) – della gravità dell’inadempimento, potendo fondare una simile emergenza, al più, una richiesta di risarcimento danni commisurata al deprezzamento che l’immobile avrebbe subito a causa della mancato rilascio della certificazione ed in conseguenza, quindi, della possibile sua incommerciabilità (v. ex multis : Cass 18.3.2010 n.6548, già citata; Cass, 15.2.2008 n.3851; Cass. 22.11.2006 n.24786, Cass.19.7.1999 n. 7681).
SECONDA IPOTESI
La conoscenza, da parte dell’acquirente, della condizione di inagibilità dell’immobile e la comune volontà di entrambe le parti di procedere ugualmente al trasferimento del bene privo della relativa certificazione, conduce ad escludere la possibilità di eccepire l’inadempimento e chiedere perciò la risoluzione del contratto.
Al contrario, secondo la giurisprudenza, la semplice consapevolezza da parte del compratore della mancanza della agibilità dell’immobile, come sopra accennato, non varrebbe ad impedire l’inadempimento del venditore alla luce della circostanza che tale condizione è un elemento, comunque, caratterizzante il bene in relazione alla sua capacità di assolvere ad una determinata funzione economico-sociale.
Nulla quaestio nel caso in cui, pur in presenza di tale consapevolezza , nell’atto di compravendita il venditore abbia assunto l’obbligo di fornire, entro un dato termine, il certificato di agibilità con la conseguenza che, in difetto, il compratore potrebbe agire per la risoluzione del contratto ed il risarcimento danni.
TERZA IPOTESI
Tale eventualità riproduce la evidenza appena ricordata e, quindi, la soluzione non è da essa dissimile.
QUARTA IPOTESI
La originaria agibilità del bene compravenduto, venuta meno successivamente alla vendita per effetto di un provvedimento della Autorità Amministrativa dovrebbe, per le ragioni espresse, essere idonea a fondare la richiesta di risoluzione contrattuale pur essendo indispensabile verificare, caso per caso, la reale intenzione delle parti quale emergente nell’atto di trasferimento.
Mette conto di rilevare, tale ultimo riguardo e per concludere, che la condizione di agibilità, sia sotto il profilo sostanziale della sussistenza del requisito oggettivo sia sotto il profilo formale della esistenza del documento certificativo, è una circostanza lasciata alla autonomia delle parti le quali possono considerare tale aspetto come una qualità essenziale o meno del contratto ( giustificandosi con ciò quanto asserito in merito alla suddetta “seconda ipotesi”), purchè, si badi bene, l’immobile non sia abusivo.
Va solo aggiunto che recentemente l’avvertita esigenza di assicurare trasferimenti sicuri e, quindi, di evitare lunghi e dispendiosi contenziosi, ha indotto il Consiglio nazionale del Notariato e quello dei Geometri a stipulare un protocollo di intesa che preveda la facoltà di effettuare una preventiva perizia tecnica, redatta dal geometra e da consegnare al Notaio rogante, attestante le condizioni dell’immobile da trasferire sotto il profilo dell’esame tecnico sulla regolarità edilizia e sulla agibilità
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