Lasciando da parte considerazioni giusnaturlistiche ed esaminando il diritto positivo il risultato non cambia. In Italia non è possibile scindere la gravidanza dalla maternità, non vi sono dubbi.
L’art. 269 comma 3 codice civile, afferma incontrovertibilmente che madre è colei che partorisce e l’art. 253 del codice civile vieta il riconoscimento che sia in contrasto con lo stato di figlio altrui.
La scissione della maternità in due (“madre genetica” e madregestante”) in Italia non è permessa, come invece accade in Russia, e le ragioni, oltre che nello stato di diritto, possono ricavarsi con autentica chiarezza in un parere del Comitato Nazionale di Bioetica, secondo il quale la valenza della gravidanza sul piano esistenziale, biologico e culturale, va al di là della mera messa a disposizione dell’utero.
La madre ha un “attaccamento precoce” con quanto porta in grembo ed è coinvolta nella gravidanza dal punto di vista biologico, psicologico, emotivo e, finanche, sociale e simbolico visto che è colei che partorendo “mette al mondo”.
L’inscindibilità della figura materna trova conferma anche in una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (3.11.2011 – Grande Camera – CEDH 57813/00 – S.H. e altri c. Austria) che nel ricostruire le finalità perseguite dal legislatore tedesco associa la definizione di maternità alla donna che ha effettivamente partorito il bambino.
Dette prospettazioni sono strumentali rispetto alle pretese dei genitori. Ma per i bambini, i cui interessi il nostro ordinamento privilegia innanzitutto, valgono i medesimi principi ?
A rispondere alla domanda ci ha pensato la Corte Costituzionale con la sentenza che ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa, la n.162 del 10.06/2014. Secondo la Consulta, infatti, si può scindere la madre genetica dalla madre gestante (come avviene nell’adozione) sostenendo che per salvaguardare l’interesse del minore si debba privilegiare l’aspetto sociale ed affettivo, più che il dato genetico. Tale pronuncia pone la massima attenzione alla continuità affettiva ed alla stabilità parentale.
Dello stesso orientamento è la recentissima sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDH 028/2015 Paradiso e Campanelli c. Italia del 27.01.2015) che, attenzione, non ha sdoganato la pratica dell’utero in affitto che rimane vietata anche se praticata in paesi che la permettono, ma ha condannato lo Stato italiano, che alla fine di un iter giudiziario ha sottratto il bambino ai signori Paradiso-Campanelli che erano ricorsi a questa pratica rivolgendosi alla Russia, a risarcire alla coppia €.20.000 di danni morali conseguenti alla violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare e privata (art. 8 della Convenzione) con la seguente precisazione: “il piccolo ha indubbiamente sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d’accoglienza con cui vive dal 2013”.
Rimane sempre difficile bilanciare gli interessi dei genitori con i diritti dei minori, soprattutto quando ci si relaziona con ordinamenti che non riservano ai minori le medesime prerogative alle quali siamo abituati nel bel paese; ad ogni modo l’etica kantiana in Italia sopravvive e la donna rimane colei che“mette al mondo” e non può essere mai usata come mezzo.
Quanti vorrebbero poterla considerare “incubatrice a pagamento” in onore al laissez-faire, trovano oggi nella Corte Eurepea dei diritti dell’uomo un ostacolo.
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