Nei giorni scorsi, abbiamo tratteggiato un profilo di quei personaggi che sarebbero i favoriti per la vittoria finale, cercando di individuare tra loro i più papabili per la successione all’ormai anziano e provato “Re Giorgio”.
Se Mario Monti pare essersi sapientemente defilato dal dibattito in attesa che tornino a muoversi le bocce per il Quirinale, niente è da dare per scontato, dal momento che la poltrona di presidente della Repubblica è da ormai un decennio affidata allo stesso personaggio. Dunque, i pretendenti latenti o conclamati si sono moltiplicati, e c’è da attendersi che, contrariamente a quanti auspicato dal premier Renzi, non sarà una passeggiata eleggere il nuovo garante della Costituzione.
Si è fatto molto parlare di un ritorno di Romano Prodi come possibile candidato del Partito democratico, dopo la clamorosa debacle del 2013, quando 101 parlamentari democratici lo pugnalarono alle spalle facendone sprofondare la candidatura.
A distanza di quasi due anni, il professore giura di non essere in campo, ma sicuramente da abile e consumato uomo delle istituzioni, sa bene che al Quirinale non esiste candidatura da realizzare in forma palese. Eppure, il suo incontro di qualche tempo fa proprio con il premier Renzi, ne ha rilanciato con forza il nome.
Perché sì Prodi
I voti del Pd. I 101 nella storia recente del Partito democratico sono una macchia indelebile, che potrebbe essere finalmente superata solo rimediando, con due anni di ritardo, alla figuraccia dell’aprile 2013. Per questo, il Pd potrebbe ricompattarsi attorno al proprio padre fondatore, cancellando definitivamente lo psicodramma che portò al capolinea la segreteria di Bersani. Al quarto scrutinio, stavolta Prodi potrebbe farcela, se il suo partito sarà compatto.
Le larghe intese. Da non dimenticare, questo governo ha sempre la maggioranza in Parlamento grazie all’appoggio di Ncd e dei fuoriusciti dai 5 Stelle. Prodi, per il profilo da una parte cattolico e dall’altra antiberlusconiano, presenta qualità che possono convincere entrambi gli schieramenti.
Il curriculum. Poche personalità italiane in vita, forse nessuna, possono vantare un curriculum internazionale paragonabile a quello del professore di Bologna. Ministro, due volte presidente dell’Iri, due volte presidente del Consiglio, capo della Commissione europea e da qualche anno ambasciatore Onu nel sud del mondo: manca solo il ruolo più importante.
La stabilità. Se Renzi davvero vuole arrivare al 2018, allora avrà bisogno di un alleato prezioso al Colle per evitare i tornanti più rischiosi della legislatura, con la minaccia di elezioni anticipate che ogni tanto torna in auge. Chi meglio del professore, che due volte ha sfidato e due volte ha avuto la meglio su Berlusconi?
Perché no Prodi
Ha perso la sua occasione. La sconfitta dell’aprile 2013, mentre si trovava in Mali, sembra aver posto la parola fine alle ambizioni quirinalizie di Prodi. Ripresentare la sua candidatura, sarebbe un rischio per il governo: se anche stavolta il professore fallisse, infatti, Renzi non sarebbe più così stabile a palazzo Chigi.
Berlusconi. Cosa potrebbe chiedere in cambio il Cavaliere per dichiarare la “non belligeranza” dell’arcinemico al Colle? Forse, questa è la principale preoccupazione del premier, che potrebbe portarlo ad accantonare il nome di Prodi in maniera definitiva.
Sarebbe ingombrante. Il presidente del Consiglio, è noto, alimenta le sue fortune politiche sulla propria iperesposizione. Avere un presidente molto mediatico e poco incline ai compromessi come Prodi potrebbe offuscarne l’immagine, che i sondaggisti annunciano già in difficoltà per la mancata ripresa.
L’euro. In tempo di clima favorevole alle linee di pensiero ostili all’Europa, eleggere uno come Prodi al Colle sarebbe percepito come una sfida aperta alle minoranza e non come un gesto di distensione: nessuno, infatti, ha dimenticato la sua paternità nei confronti dell’euro e il cambio sulla lira che secondo alcuni è alla base delle difficoltà con la moneta unica.
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