Da qualche giorno è stato pubblicato il bando per l’accesso alla magistratura, che ammette solo i laureati con più di 105/110, con pratica di 18 mesi nell’Avvocatura dello Stato, ed esclude i meritevoli solo perché hanno scelto di compierla nelle Avvocature Pubbliche o Studi Privati, considerati inidonei.
Ma all’inizio della pratica i meritevoli non sapevano di tale disparità e della sua consacrazione nella regoletta appiccicata dal decreto legge 90/2014. Non sapevano che il loro merito sarebbe finito nel nulla. Non sapevano che il legislatore, per il raggiungimento del fine pubblico, si sarebbe avvalso del soccorso postumo e subitaneo di una discriminazione.
Oggi i meritevoli si chiedono: perché la pratica nell’Avvocatura dello Stato pesa più di quella compiuta nelle sorellastre pubbliche e nei fratellastri privati?
E perciò, se prima si pensava che la ratio della norma fosse la “meritevolezza”, oggi la ratio va ricercata altrove: lì dove vivono gli abitanti di un’italietta con il vizietto delle regole bislacche.
Storia vecchia e nuovi personaggi. Ma c’è vita e vita. E il modo in cui si vive dipende molto dalle regole bislacche.
Esiste una via per creare nuova storia? Esiste una via per rovesciare la ziggurat, per inabissarne la cima e innalzarne la base?
Domande complicate e risposte timide. Anche le mie lo sono, e resteranno insignificanti fino a quando vivranno la solitudine. Sta qui la ragione di questa mia riflessione a voce alta.
Diritto ingiusto e follia della ragione?
Credo di sì, ci si serve di una legge, da sempre considerata espressione di razionalità, per imporre una regola ingiusta, una regola che contraddice i principi costituzionali di uguaglianza e di non discriminazione.
Ma i princìpi annottano, perché stanno in odio al legislatore, a tanti giudici e anche a noialtri avvocati.
Angela Bruno
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