Verità è che, dopo il dramma di Fukushima, il nucleare si svela con tutte le sue debolezze: reattori troppo vecchi, che dovrebbero andare in pensione con buona pace, nuovi reattori che, per essere sicuri, richiedono costi aggiuntivi da capogiro.
Insomma, la crisi dell’atomo ci dice che forse è arrivato il momento di rinunciare alle centrali nucleari e fare ricorso all’unica fonte di energia in grado di soddisfare il fabbisogno di un paese senza correre rischi.
I segnali di detta volontà ci sono tutti; sulla serietà della stessa, data l’esperienza, conviene essere cauti. Anche se, per come si sono messe le cose, mi viene di essere ottimista, soprattutto se ricordo quello che Lincoln ha detto l’8 settembre 1958: “Puoi imbrogliare tutta la popolazione alcune volte, o imbrogliare parte della popolazione tutte le volte, ma non si può imbrogliare tutte le volte tutta la popolazione”.
Nel corso dell’ultimo secolo, la temperatura media globale è aumentata di 0,74°C. Si tratta di un innalzamento insolito, che ha allarmato la stragrande maggioranza degli scienziati e dei ricercatori internazionali. Se è pur vero che il clima ha sempre subito cambiamenti dovuti a cause naturali – fra le quali, ad esempio, le variazioni dell’attività solare, le eruzioni vulcaniche, gli spostamenti dell’asse terrestre – è anche vero che la comunità scientifica appare sempre più convinta che il surriscaldamento climatico sia addebitabile a cause c.d. antropiche e, cioè, alle attività umane. Secondo il quarto rapporto di valutazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), consesso scientifico delle Nazioni Unite, le concentrazioni atmosferiche attuali di anidride carbonica (379 ppm) sono le più alte mai verificatesi negli ultimi 650 mila anni, durante i quali il massimo valore si era sempre mantenuto al di sotto dei 290 ppm. L’IPCC avverte: “continuare ad emettere gas serra ad un tasso uguale o superiore a quello attuale, causerebbe un ulteriore riscaldamento e provocherebbe molti cambiamenti nel sistema climatico globale del XXI secolo; questi cambiamenti molto probabilmente potranno essere maggiori di quelli osservati durante il XX secolo”.
Per evitare che il riscaldamento globale raggiunga livelli pericolosi per l’uomo e la natura, nel 2008 l’Unione europea ha adottato il “pacchetto clima-energia” che contiene una serie di misure volte a combattere i cambiamenti climatici e a promuovere l’uso delle energie rinnovabili.
Tra le misure contenute nel pacchetto vi rientra anche la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione delle energie rinnovabili, che fissa obiettivi vincolanti per ciascuno Stato membro: l’Italia, in particolare, dovrà ridurre del 13% le emissioni, rispetto al 2005, e raggiungere il 17% di produzione di energia da fonti rinnovabili, entro il 2020.
In attuazione della direttiva 2009/28/CE, il Consiglio dei Ministri del 3 marzo scorso ha approvato un decreto legislativo, il c.d. decreto Romani (decreto legislativo 28 del 2011, pubblicato ieri in Gazzetta ed in vigore da oggi) che, andando nella direzione opposta, riduce gli incentivi al comparto delle rinnovabili e vanifica i buoni propositi del Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell’Italia, presentato dal governo a Bruxelles lo scorso giugno.
In particolare, con riguardo al fotovoltaico, il comma 9 dell’art. 25 stabilisce che le tariffe e gli incentivi previsti dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 agosto 2010 “si applicano alla produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio entro il 31 maggio 2011”.
Per gli allacci successivi, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente, sentita la Conferenza unificata, dovrà adottare, entro il 30 aprile 2011, un apposito decreto – con nuove tariffe ribassate e una nuova soglia massima di potenza da energia solare incentivabile ogni anno – che entrerà in vigore già dal primo giugno.
Il 16 marzo, sotto l’evidenza del dramma giapponese, la Camera dei deputati dimostra di voler fare marcia indietro e approva una mozione bipartisan (n.1-00604) sulle energie rinnovabili.
Dopo aver ricordato che “il blocco previsto dal nuovo decreto legislativo rischia di colpire l’intero mercato del settore fotovoltaico; notizie stampa riportano un blocco del credito bancario per un ammontare di 40 miliardi di commesse e un rischio di cassa integrazione per circa 10.000 lavoratori” e che: “specialmente in questo periodo di crisi energetica, anche conseguente alla crisi libica, occorre sfruttare la nostra posizione geografica, non trascurando la sostenibilità delle nostre bellezze naturali”, la mozione impegna il Governo:
– a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore delle fonti rinnovabili, per poter definire al più presto un nuovo sistema di incentivi;
– ad anticipare l’emanazione del decreto ministeriale di cui all’articolo 25 del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/28/CE, entro la prima decade di aprile del corrente anno;
– ad assumere iniziative per definire un sistema di incentivazione che garantisca nel nostro Paese una prospettiva di crescita di lungo termine per il settore fotovoltaico;
– nella definizione dei nuovi incentivi, a mantenere un adeguato sostegno al settore delle energie rinnovabili con una progressiva riduzione degli incentivi fino al raggiungimento della grid parity.
Detto, fatto. Proprio oggi, infatti, il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha dichiarato: “Credo che entro la prima decade di aprile concluderemo i lavori di consultazione ed emaneremo il decreto ministeriale, che dovrà rispettare quanto votato all’unanimità sia dalla Camera che dal Senato; e cioè che gli investimenti in corso devono essere salvaguardati, intendendo per impianti messi in esercizio quelli posati e non allacciati”. Ed ancora: “Nei successivi sei mesi bisognerà prevedere una riduzione molto lieve degli incentivi in modo da non penalizzare gli investimenti in corso, quindi anche quelli programmati col vecchio regime e non conclusi alla fine di maggio. Dal 2012 si procederà poi con uno ‘scalone’ negli incentivi senza fissare un tetto in termini di Megawatt annuali, ma un tetto complessivo in milioni di euro fino alla fine degli incentivi”.
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