A) PEC
All’art. 16, comma 1-bis, D.Lgs. n. 546/92 è aggiunto il seguente periodo:
“Nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente (controversie di valore inferiore ad euro 2.582,28) ed il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, la stessa può indicare l’indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni”.
A tal proposito, occorre precisare che, a differenza dell’obbligo imposto ai professionisti di indicare la PEC (art. 18, comma 2, lett. b), D. Lgs. N. 546/92), la suddetta nuova disposizione prevede la semplice facoltà (“può”); di conseguenza, la mancata indicazione facoltativa della PEC da parte del ricorrente a titolo personale, secondo me, non comporta alcuna conseguenza processuale circa il deposito in segreteria della Commissione tributaria di tutte le comunicazioni.
Infatti, non bisogna dimenticare che chi fa il ricorso da solo non ha dimestichezza con le norme processuali e non si può certo penalizzarlo, rendendolo ignaro dello sviluppo del processo per non aver indicato la PEC, che è obbligo solo di un professionista e non di un privato contribuente.
In ogni caso, per evitare spiacevoli sorprese, sarebbe opportuno che il MEF, con propria circolare, chiarisca bene la questione nel senso da me sopra esposto.
Oltretutto, il fatto che il legislatore, con la suddetta novella legislativa, abbia sentito il bisogno di trattare autonomamente il ricorso presentato personalmente (rispetto a quello presentato dal professionista) è la dimostrazione che si son voluti fugare i dubbi su questa specifica questione, distinguendo l’obbligo (art. 18 cit.) dalla semplice facoltà (art. 49 citato).
B) MANCATA INDICAZIONE PEC
All’art. 17, D.Lgs. n. 546/92, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
“3-bis- In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria”.
A tal proposito, bisogna distinguere.
1) In caso di mancata indicazione dell’indirizzo PEC, tutte le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria, logicamente con le distinzioni e precisazioni fatte alla lettera A).
In ogni caso, si deve stigmatizzare il comportamento del legislatore che nel processo tributario inserisce di continuo una serie di formalità che possono pregiudicare la difesa.
Nel caso di specie, mi sembra eccessiva la suddetta penalizzazione in quanto, pur mancando la PEC, la segreteria potrebbe continuare a fare le comunicazioni come ha fatto sino ad ora (con le raccomandate a/r), consultando gli elenchi degli ordini professionali dove sono inserite tutte le pec dei professionisti iscritti.
Certo, un processo tributario gestito ed organizzato dal MEF, che è una della parti in causa, rende sempre più difficile la difesa ed appunto per questo è necessaria ed urgente la riforma, alla luce della legge delega, come più volte scritto nei miei articoli pubblicati sul sito e nel mio progetto di legge di riforma del codice del processo tributario (www.studiotributariovillani.it).
2) L’altra ipotesi è la mancata consegna del messaggio di PEC per cause imputabili al destinatario.
Anche in questo caso, il difensore può subire pregiudizi perché a casi tipici e prevedibili se ne possono aggiungere altri in cui l’imputabilità è da ascrivere al provider, senza alcuna colpa a carico del difensore.
Sarebbe opportuno, per evitare i problemi di cui sopra, obbligare sempre le segreterie a fare le comunicazioni tramite raccomandate a/r, prevedendo una minima sanzione amministrativa per errori tecnici dovuti esclusivamente al destinatario, sempre che siano provati e documentati in modo specifico.
In sostanza, non si deve mai privare il contribuente ed il professionista della possibilità di conoscere sempre in modo effettivo e compiuto lo svolgimento di tutti gli atti processuali, perché qualsiasi limitazione del diritto di difesa, pur se dovuta ad aspetti formali e tecnici, non deve mai compromettere un diritto costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione).
C) INVITO AL PAGAMENTO
Infine, all’art. 248 D.P.R. n. 115 del 30/05/2002, il comma 2 è sostituito dal seguente:
“2. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, l’invito è notificato, a cura dell’ufficio e anche tramite posta elettronica certificata, nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, è depositato presso l’ufficio”.
L’art. 248 cit. prevede l‘invito al pagamento in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato tributario.
Nel caso di specie, oltre a quanto precisato nella precedente lett. A), sarebbe opportuno non gravare eccessivamente il professionista domiciliatario, che peraltro può cambiare in corso di causa, per evitare che eventuali disguidi di corrispondenza tra le parti possano determinare una responsabilità professionale ed una lesione del rapporto fiduciario.
Anche in questo caso, si manifesta la volontà del legislatore di rendere sempre più difficile e problematica la difesa nel processo tributario, addossando al professionista incombenze e responsabilità, spesso di natura formale e tecnica, che non riguardano le fasi prettamente processuali.
Ormai, in attuazione alla legge delega, si deve assolutamente modificare il processo tributario, mettendo sullo stesso piano il fisco e il contribuente, senza alcuna limitazione o condizionamento processuale, soprattutto se di natura prettamente tecnica o formale.
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