Avvocati, la lettera per chiedere la riduzione del canone Rai

Redazione 20/08/14
Anche agli avvocati è richiesto il pagamento del canone Rai. Non solo, ovviamente, per le loro abitazioni private, ma anche per gli studi dove svolgono la loro attività professionale.

Peccato, però, che nei luoghi di lavoro l’abbonamento alla radiotelevisione pubblica sia stato improvvisamente aumentato per le attività aperte al pubblico in cui si trovino apparecchi in grado di ricevere il segnale dei canali e delle stazioni dell’orbita Rai.

A questo proposito, nei mesi scorsi è andata in scena la protesta delle partite Iva, che si sono improvvisamente ritrovate a dover versare un balzello raddoppiato sulla quota solita del canone Rai.

Non hanno fatto specie gli avvocati, i quali sono rientrati a pieno titolo nel calderone degli aumenti, qualora avessero nel proprio studio professionale anche solo un computer o un dispositivo in grado di ricevere il segnale dei canali Rai.

Così, ora l’ordine degli avvocati di Genova, per mezzo del presidente Alessandro Vaccaro, ha diramato una bozza di lettera che tutti i colleghi potranno utilizzare per rivolgersi a viale Mazzini e chiedere l’abbassamento del supercanone 2014.

Il Consiglio forense del capoluogo ligure, ha sottolineato che, ritenendo la decisione di equiparare le attività professionali agli enti pubblici illegittima, ogni avvocato potrà presentare la propria contestazione semplicemente apponendo in calce la firma al fac simile.

Ecco la lettera per chiedere l’abbassamento del canone Rai

Spett.le
RAI – Radiotelevisione italiana S.p.A.
Viale Mazzini n. 14
00195   ROMA   (RM)
 
Oggetto: richiesta di pagamento canone speciale alla televisione – contestazione 
Riscontro la Vs. in data …………., che debbo, peraltro, integralmente contestare, in fatto, in diritto e nelle conclusioni.
Ed invero, la richiesta di pagamento dell’importo di € 203,70 appare destituita di fondamento alcuno.
La Vs. Società ritiene, infatti, che l’obbligo al pagamento del c.d. “canone di abbonamento speciale” alla televisione discenda dal combinato disposto degli artt. 1 e 27 del R.D.L. del 21/02/1938 n. 246 e art. 2 del D.L. Lt. 21/12/1944 n. 458, e, quindi, sia asseritamente dovuto in ragione della “detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive detenute in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del servizio”.
Per contro, l’art. 2 del D.Lgs luogotenenziale n. 458/1944 stabilisce che: “qualora le radioaudizioni siano effettuate in esercizi pubblici o in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori dell’ambito familiare, o gli apparecchi radioriceventi siano impiegati a scopo di lucro diretto o indiretto, l’utente dovrà stipulare uno speciale contratto di abbonamento con la società concessionaria”.
Ambienti ed utilizzi del tutto estranei a quelli propri di uno Studio Legale.
A ciò si aggiunga che l’art. 27 del R.D.L.  246/1938 e l’art. 16 della L. n. 488/1999 stabiliscono la tariffa dell’abbonamento “speciale” in funzione delle categorie e delle caratteristiche degli esercizi commerciali, facendo, peraltro, esclusivo riferimento a “televisori” (nonostante nel 1999 i computer fossero già esistenti e connessi ad internet).
In ragione di tanto, dunque, non pare revocabile in dubbio che il canone speciale RAI possa essere richiesto unicamente a soggetti in grado di porre in essere audizioni in locali pubblici o aperti al pubblico; e tale non può certo definirsi il singolo professionista che utilizza il PC dell’ufficio dotato di connessione alla rete internet e, dunque, potenzialmente abilitato a trasmettere “radioaudizioni”.
In ogni caso, appare più che ragionevole ricomprendere – per imprenditori e professionisti – nell’ambito dell’abbonamento RAI sottoscritto a fini familiari – quantomeno il PC portatile ed il telefonino, posto che il numero di apparecchi a disposizione dell’utente non influisce sull’ammontare del canone familiare.
E tanto anche in ragione del fatto che, allo stato, colui che possiede un televisore per stanza paga lo stesso canone di chi ne possiede uno solo in tutta l’abitazione.
Aderire ad una diversa interpretazione, comporterebbe, invero, una discriminazione inaccettabile tra l’intestatario di partita IVA e il lavoratore subordinato che, per converso, può, a titolo esemplificativo, utilizzare il PC fornitogli dal datore di lavoro contestualmente ai propri apparecchi personali coperti dal canone familiare.
***
Sulla scorta di quanto sopra esposto, ritengo, come detto, destituita di qualsivoglia fondamento la Vostra richiesta di pagamento.
Espressamente fatto salvo e riservato ogni mio meglio visto diritto ed azione.
Distinti saluti.
Avv. ……………………………………………

Redazione

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