Dopo aver dichiarato ammissibile la richiesta di referendum, la Consulta è tornata, su sollecitazione delle regioni Toscana, Emilia Romagna e Puglia, sulla questione nucleare, stabilendo che, laddove si intenda costruire un impianto, sarà necessario un parere obbligatorio, seppure non vincolante, della regione interessata.
Più nello specifico, secondo la Corte, il solo meccanismo concertativo adottato dal legislatore delegato – consistente nella previsione di un’intesa con la regione nella fase anteriore della certificazione dei siti – non basta a garantire il principio di leale collaborazione fra Stato e regioni.
La Regione deve essere, piuttosto, messa nelle condizioni di esprimere la propria definitiva posizione, attraverso la formulazione di un parere che intervenga nella fase del rilascio dell’autorizzazione.
Cosa cambia?
Probabilmente nulla, almeno da un punto di vista tecnico.
Trattandosi di parere non vincolante non sarà in grado di impedire la realizzazione dell’impianto.
Dalla Consulta però, è arrivato un segnale significativo che afferma il diritto delle regioni a partecipare al processo decisionale, specie nel caso in cui lo stesso abbia ad oggetto opere che hanno forti ricadute sull’ambiente.
Si legge in motivazione: “la Regione interessata deve essere adeguatamente coinvolta nel procedimento. Un adeguato meccanismo di rappresentazione del punto di vista della Regione interessata, che ragionevolmente bilanci le esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa e gli interessi locali puntualmente incisi, è costituito dal parere obbligatorio, seppur non vincolante, della Regione stessa. Attraverso tale consultazione mirata, la Regione è messa nelle condizioni di esprimere la propria definitiva posizione, distinta nella sua specificità da quelle che verranno assunte, in sede di Conferenza unificata, dagli altri enti territoriali”.
Ebbene, recependo quanto statuito dalla Corte costituzionale, il Consiglio dei Ministri, il 18 febbraio scorso, ha adottato uno schema di decreto legislativo correttivo del d.lgs. n. 31 del 2010, che, per l’appunto, prevede l’obbligatoria acquisizione del parere.
Ciò nonostante, la corsa agli insediamenti non rallenta e, come da programma, i primi lavori nei cantieri potranno iniziare nel 2013 e la produzione di energia elettro-nucleare nel 2020.
Obiettivo: realizzare, entro il 2020, quattro centrali di terza generazione in grado di coprire almeno il 10% dei consumi di energia, vale a dire 6000 megawatt.
Ma le Regioni cosa pensano del ritorno al nucleare in Italia?
Ancor prima della pubblicazione del d.lgs. n. 31 del 2010, la maggior parte dei governatori regionali, all’epoca candidati presidenti di regione, hanno detto “no” al nucleare sul loro territorio.
Dieci regioni (Lazio, Umbria, Basilicata, Toscana, Calabria, Marche, Molise, Puglia, Liguria ed Emilia Romagna), nel 2009, hanno mostrato la loro contrarietà al ritorno al nucleare sollevando questioni di legittimità costituzionale (ritenute, poi, in parte inammissibili e in parte infondate dalla Corte Costituzionale), relativamente ad alcune disposizioni, in particolare all’art. 25, contenute nella c.d. legge sviluppo (legge 23 luglio 2009, n. 99).
Dal canto suo, la Sicilia grida a gran voce “no” al nucleare. L’Assemblea regionale siciliana, lo scorso anno, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno contro la costruzione di una centrale nucleare. Il governatore Lombardo, in occasione di quella seduta, ebbe a dire: “ci batteremo perché in Sicilia non si parli più nemmeno lontanamente di nucleare”. In coerenza, l’assessore per l’economia, Gaetano Armao, a conclusione delle riunioni della Conferenza unificata e della Conferenza Stato-Regioni, tenutesi lo scorso 20 gennaio a Roma, ha confermato il suo orientamento negativo in merito allo schema di delibera CIPE (approvata dall’Anci) relativa alla “definizione delle tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale”
La stessa delibera è stata bocciata da altre sette regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna, Umbria, Puglia, Liguria).
Quattro regioni italiane (Veneto, Lombardia, Piemonte e Campania), invece, hanno espresso parere favorevole.
Anche la Sardegna si è schierata contro. Ugo Cappellacci assicura che “nessuna centrale nucleare verrà costruita nell’Isola: se vorranno farlo, dovranno passare sul mio corpo”. Nel frattempo, il Presidente della Regione ha fissato il 15 maggio la data del referendum consultivo. Molto semplice il quesito proposto: “Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”.
Insomma, la sindrome Nimby (Not in my back yard, “non nel mio cortile”) sembra colpire un folto numero di regioni e dimostra essere bipartisan.
Ma, ad indorare la pillola ci ha pensato l’art. 23 del d.lgs. n. 31 del 2010, che disciplina la corresponsione di benefici a favore degli enti locali, delle persone residenti e delle imprese operanti nel territorio interessato dalla costruzione dell’impianto.
In particolare, le agevolazioni a favore di questi ultimi due consisteranno nella riduzione della spesa energetica, della TARSU, delle addizionali IRPEF, IRES e ICI.
E gli enti locali come reagiranno a queste lusinghe ?
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