Senza rivangare il passato che ha visto il nostro paese in evidente difficoltà a seguito della direttiva 1999/93/CE che istituendo il quadro comunitario delle firme elettroniche “dimenticava” completamente la nostra firma digitale costringendo il nostro Governo ad inseguire un difficile adeguamento a suon di decreti presidenziali (n. 137/2003) e legislativi (10/2002) di dubbia portata, la recente legge 69/2009 all’art. 33 nel delegare il Governo per la modifica del CAD prevedeva tra i principi e criteri direttivi da rispettare “la modifica della normativa in materia di firma digitale al fine di semplificarne l’adozione e l’uso da parte della pubblica amministrazione, dei cittadini e delle imprese, garantendo livelli di sicurezza non inferiori agli attuali“.
Ha provveduto in tale senso il nostro legislatore?
La risposta purtroppo non può che essere negativa, anzi con la riforma è stata introdotta una nuova firma elettronica accanto alle tre tipologie già conosciute (firma elettronica semplice, firma elettronica qualificata, firma digitale) e cioè la “firma elettronica avanzata” la cui definizione corrisponde perfettamente, nella sostanza, all’analoga definizione contenuta nella direttiva europea n. 93 del 1999.
A giustificazione di tale innovazione il legislatore sostiene di aver ritenuto opportuno accogliere nell’ordinamento italiano tale tipologia di firma elettronica poiché, in relazione all’evoluzione tecnologica, si può oggi concretamente configurare una serie di soluzioni tecniche che, senza giungere a configurare una vera e propria firma digitale o qualificata (cioè basata su un certificato qualificato) può comunque mettere a disposizione dell’utente ( e fra questi delle P.A.) strumenti di firma di buon livello di sicurezza e attendibilità.
Ma quali sono questi strumenti? Quale sarà il loro effettivo valore giuridico? Che fine ha fatto quella volontà di semplificare?
A voi l’arduo compito di trovare delle risposte, per la verità il sottoscritto le sta ancora trovando.
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