Dopo una bagarre di alcune ore, che ha toccato il picco nella mattinata di martedì, dunque, anche il Nuovo Centrodestra si è convinto a dire sì al provvedimento sui contratti precari e di apprendistato, che apre, di fatto, la serie di riforme conosciute come il Jobs Act.
Per la verità, il governo è finito in rotta di collisione non solo con il partito guidato da Angelino Alfano, ma anche con la minoranza della forza politica più pesante all’interno dell’arco che sostiene lo stesso Renzi: il Pd.
Ad esso, infatti, si devono le modifiche apportate in Commissione, che il premier si è affrettato a definire “dettagli”, ma che in realtà rappresentano le condizioni poste da una parte del partito per dire sì al provvedimento derubricato come decreto 34/2014.
Nello specifico, queste modifiche apportate nel testo al voto alla Camera riguardano:
il passaggio da otto a cinque rinnovi nell’arco dei tre anni per i contratti a tempo determinato
la precedenza per la fruizione del congedo di maternità nella graduatoria di assunzione
il ripristino del minimo di assunzioni per il 20% dei contratti di apprendistato attivati per le aziende oltre 30 dipendenti
il ritorno della formazione pubblica obbligatoria, a cui dovranno pensare le regioni. Se l’ente pubblico tarderà oltre il 45esimo giorno dal’attivazione dell’apprendistato, allora l’azienda non sarà obbligata a incrociare la formazione specifica con quella di carattere generale
Da ultimo, passa al 35% il bonus sui contributi per i datori di lavoro, oggi fermo al 25%
Vai alla scheda del decreto in approvazione alla Camera
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