Ancora un altro ritardo per l’Italia rispetto agli impegni europei e, sopprattutto, troppe incognite sulla professione dell’interprete/traduttore legale.
Scopo della direttiva è quello di assicurare il diritto delle persone indagate o degli imputati all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali al fine di garantire il loro diritto ad un processo equo.
Il diritto all’interpretazione e alla traduzione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento, già sancito dall’articolo 6 della CEDU, dovrebbe ora trovare una più compiuta e concreta applicazione pratica.
Vengono, infatti, stabilite le norme minime comuni per i paesi dell’Unione europea sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti per l’esecuzione del mandato di arresto europeo.
La direttiva punta anche a migliorare la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli per il diritto alla difesa e ad un processo equo, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, contribuendo al corretto funzionamento della cooperazione giudiziaria nell’UE e agevolando il reciproco riconoscimento delle decisioni penali.
Il diritto all’interpretazione e alla traduzione deve essere garantito dal momento in cui le persone interessate sono messe a conoscenza di essere indagate o accusate di un reato penale fino alla conclusione del procedimento penale, ivi compresa l’irrogazione della pena e l’esaurimento delle istanze in corso.
Nel caso di reati minori, se un’autorità diversa da una corte avente giurisdizione in materia penale è competente per comminare sanzioni (ad esempio nel caso in cui la polizia effettui un controllo stradale), il diritto all’interpretazione e alla traduzione si applica solo ai procedimenti dinanzi a tale giurisdizione in seguito ad un ricorso.
I paesi dell’UE devono rendere disponibile l’interpretazione alle persone interessate per le comunicazioni con il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso. Inoltre, devono avere a disposizione un meccanismo che permetta di stabilire se sia necessaria la presenza di un interprete.
Gli Stati membri dovranno assicurare agli indagati o agli imputati di ricevere, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti fondamentali, in particolare:
– delle decisioni che privano una persona della propria libertà;
– degli atti contenenti i capi d’imputazione;
– delle sentenze.
Inoltre, caso per caso, le autorità competenti potranno decidere di tradurre altri documenti qualora gli indagati o gli imputati o il loro avvocato ne facciano richiesta.
In casi eccezionali è possibile fornire solo una traduzione o un riassunto orale di documenti fondamentali, anziché una traduzione scritta, a condizione che tale traduzione orale non pregiudichi l’equità del procedimento.
Allo stesso modo, nel procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo, le autorità competenti devono fornire a chiunque sia soggetto a tale procedimento l’interpretazione e la traduzione scritta del documento in questione, se necessario.
Gli indagati o gli imputati devono avere il diritto di impugnare la decisione che dichiara superflua l’interpretazione o la traduzione e devono avere il diritto di contestare la qualità dell’interpretazione o della traduzione fornita, se insufficiente a tutelare l’equità del procedimento.
La Direttiva, in definitiva, prevede due diritti distinti:
il diritto all’interprete (art. 2) che deve essere garantito tanto nei rapporti tra l’indagato/imputato e l’autorità procedente quanto nelle relazioni tra l’indagato/imputato e il suo difensore;
il diritto alla traduzione di documenti fondamentali (art. 3): sono previsti dei temperamenti allorchè non è indispensabile garantire la traduzione “integrale” dei documenti fondamentali (si possono omettere quei passaggi che «non siano rilevanti allo scopo di consentire agli indagati o agli imputati di conoscere le accuse a loro carico»); oppure quando sussiste la facoltà di sostituire la traduzione scritta dei documenti fondamentali con una traduzione orale o con un riassunto, con il solo limite che ciò non pregiudichi l’equità del procedimento (art. 3 § 7) e a condizione che se ne dia atto a verbale (art. 7).
La novità di maggior rilievo, tuttavia, riguarda il richiamo espresso al requisito della qualitàdell’interpretazione e della traduzione.
I paesi dell’UE devono garantire che la qualità dell’interpretazione e della traduzione sia sufficiente per permettere agli interessati di capire i capi di imputazione loro contestati e di esercitare il proprio diritto alla difesa.
A tale scopo, gli Stati membri devono prendere misure concrete e, in particolare, si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.
Si tratta, tuttavia, di prescrizioni generiche e poco incisive.
Infatti, per conseguire questo standard di qualità, al di sotto del quale non si può parlare di assistenza linguistica, non è sufficiente la mera conoscenza della lingua di partenza e di quella di arrivo.
La qualità può essere garantita solo da un interprete/traduttore professionale, che abbia seguito un percorso di formazione e sia accreditato, inserito in un registro ufficiale e chiamato a rispettare un codice etico.
Questo, infatti, è il modello enucleato nei numerosi studi internazionali ed europei relativi al court interpreter, recepito in diversi paesi europei che hanno dedicato un’apposita disciplina alla professione dell’interprete in ambito giudiziario.
Troppo spesso i sistemi giuridici e giudiziari di molti paesi hanno sottovalutato l’importanza dell’interpretazione legale, impedendo che la professione di interprete/traduttore venisse debitamente riconosciuta.
Il problema fondamentale che molti paesi, come l’Italia, devono affrontare, è la mancanza di una precisa definizione a livello giuridico del ruolo dell’interprete legale.
A partire dai criteri con cui gli interpreti di tribunale vengono nominati, a volte assolutamente non uniformi, la principale mancanza che si avverte è proprio l’assenza di un albo professionale degli interpreti.
In effetti, presso le cancellerie dei tribunali italiani sono depositati i registri dei periti, che includono anche gli interpreti/traduttori legali.
Normalmente è da questi registri che gli interpreti vengono scelti e in seguito nominati, ma i criteri di iscrizione ai registri varia considerevolmente da tribunale a tribunale.
Le cancellerie hanno anche una lista “non ufficiale” di interpreti/traduttori, da utilizzare eventualmente per lingue meno conosciute e per le quali non esistono interpreti iscritti al registro.
Altro problema che incide sul ruolo dell’interprete nel panorama legale italiano, oltre alla mancanza di riconoscimento sul piano professionale (non esiste un albo degli interpreti e traduttori e la loro non è una professione ufficialmente riconosciuta) è quello relativo alla mancanza del riconoscimento a livello economico dell’attività interpretativa legale.
Il guadagno di un interprete è molto basso e ciò rischia di influire negativamente sulla qualità dell’interpretazione.
L’attuazione della direttiva poteva essere l’occasione per disciplinare la professione dell’interprete e traduttore giudiziario nel nostro ordinamento interno, al pari di altre realtà europee ed extraeuropee, e di riconoscere anche quella del giurista linguista, figura professionale molto apprezzata e ricercata presso le istituzioni europee.
L’Europa è anche questo!
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