Tuttavia, sempre più di frequente tale disposizione viene utilizzata dalle stazioni appaltanti quando la causa del grave danno all’interesse pubblico è imputabile esclusivamente all’amministrazione stessa.
In particolare, accade frequentemente che la necessità di iniziare il servizio in via d’urgenza non derivi da fatti nuovi ed imprevedibili che costringono l’amministrazione a stringere i tempi originariamente previsti, quanto piuttosto, più a monte, dalla scelta della stessa stazione appaltante di celebrare la procedura di gara troppo a ridosso della successiva fase di esecuzione, e ciò anche quando i tempi di esecuzione sarebbero facilmente programmabili. Ciò è evidente, ad esempio, quando si tratta di servizi connessi all’anno scolastico, le cui date sono sempre programmate per legge e con largo anticipo.
Ora, anche in tali ipotesi le amministrazioni sono “costrette” a non rispettare sia lo stand still, che, a maggior ragione, il periodo di sospensione obbligatoria in caso di proposizione di ricorso, dovendo “necessariamente” affidare il servizio in via d’urgenza, e così scoraggiando eventuali azioni giudiziarie contro la procedura di gara stessa.
Tale situazione, in taluni casi, è aggravata dal contestuale ritardo nell’emanare il provvedimento di aggiudicazione definitiva, che parallelamente rende inammissibile qualsiasi ricorso giurisdizionale proposto contro le risultanze di gara.
Si tratta, a mio parere, di una condotta lesiva non solo dei principi costituzionali di efficacia ed efficienza, ma anche dello stand still previsto dal comma 10 dello stesso articolo 11 del Codice Contratti Pubblici; e ciò in quanto l’urgenza che determinerebbe il “grave danno all’interesse pubblico” è in realtà determinata dalla condotta della stessa amministrazione procedente.
D’altronde, che la possibilità di affidare lavori e servizi in via d’urgenza, contenuta all’art. 11 comma 9 D.Lgs. n. 163/2006, sia da interpretare in modo restrittivo, è confermato dallo stesso Consiglio di Stato, che si è già espresso in senso negativo su siffatta deroga ai termini dilatori, affermando che l’esecuzione d’urgenza costituisce una elusione dello stand still: “la formula utilizzata, oltre a risultare eccessivamente generica, perché basata sul concetto elastico di danno grave al pubblico interesse, non risulta in linea con la disciplina comunitaria, che indica con chiarezza le tassative ed eccezionali situazioni in cui può derogarsi alla regola del termine dilatorio” (Cons. Stato, Commissione speciale, Parere del 1 febbraio 2010 n. 368/2010, “Attuazione direttiva 2007/66/CE miglioramento efficacia procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici”).
In effetti, secondo la direttiva 2007/66/CE, lo standstill può essere derogato solo nei seguenti casi:
a) se le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE non prevedono la previa pubblicazione del bando;
b) se l’unico offerente interessato è colui a cui è stato aggiudicato l’appalto e non vi sono candidati interessati;
c) in caso di appalti basati su un sistema dinamico di acquisizione, sia nei settori ordinari che nei settori speciali;
d) in caso di appalti basati su un accordo quadro nei settori ordinari.
E, continua il Cons. Stato, “la direttiva comunitaria non contempla affatto l’evenienza di un’esecuzione precedente la stessa stipulazione del contratto, e ciò non sembra poter avallare, dal punto di vista comunitario, l’esecuzione delle prestazioni dedotte nel contratto prima della scadenza del termine”.
Aspettiamo, dunque, le prime statuizioni del Giudice Amministrativo, già oggi investito delle prime questioni di legittimità di siffatte procedure di gara “ritardate”, in cui all’aggiudicazione provvisoria segue a ruota l’esecuzione in via d’urgenza, mentre tarda l’adozione dell’aggiudicazione definitiva e la stipula del relativo contratto; tra le strade percorribili, peraltro, sembrerebbe opportuna la rimessione della questione alla Corte di Giustizia UE per contrasto con la normativa comunitaria dell’ultimo capoverso dell’art. 11 comma 9 del Codice dei Contratti Pubblici.
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