Un’eventualità che il governo ha tutta l’intenzione di scongiurare, per non trovarsi costretto a rimandare di altri cinque anni l’attesa abolizione delle Province. A onor del vero, il ddl Delrio non costituirà, di per sé, l’atto di morte delle Province, ma aprirà il processo di svuotamento delle funzioni provinciali e di spostamento del personale.
La vera incombenza, però, è quella elettorale, dal momento che ben 73 organi provinciali andrebbero al voto il prossimo 25 maggio, se non dovesse essere approvato il testo che da diversi mesi si trova in Parlamento. Nello specifico, si tratta di 52 enti a statuto ordinario e 21 già commissariati, i cui consigli sono ormai alle battute finali di legislatura.
Al momento, l’approdo in aula del ddl Delrio è fissato per il 25 marzo, martedì prossimo, sempre che in Commissione non succedano altri intoppi. Resta, però, il rebus degli emendamenti: se davvero entro marzo il disegno di legge andrà approvato definitivamente, allora non ci sarebbe margine per un ulteriore ritorno alla Camera: insomma, il Senato dovrà approvare il testo uscito da Montecitorio lo scorso febbraio. Addirittura, le proposte di modifica all’esame della commissione Affari Regionali del Senato sarebbero state conteggiate nella cifra record di 4mila: per evitare la convocazione dei comizi elettorali, insomma, i partito dovrebbero buttarli tutti direttamente nel cestino.
Resta, comunque, in campo la rilevanza politica di un atto, l’eliminazione delle province, che, sebbene susciti diverse perplessità sui reali margini di risparmio, in cui è lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a giocarsi una buona fetta di credibilità. Non a caso, poi, il provvedimento reca il nome dell’attuale sottosegretario a palazzo Chigi e braccio destro del premier, Graziano Delrio.
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