Della fusione FIAT – Chrysler se ne parla da anni, a più riprese e sotto diversi profili.
Il tema che fa discutere in questi giorni è quello della:
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collocazione a Londra del domicilio fiscale della nuova società;
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collocazione in Olanda della sede legale;
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quotazioni dei titoli alla Borsa di New York, in prima battuta, ed in seconda, a quella di Milano;
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struttura industriale / produttiva ferma lì dove si trova ora (almeno per il breve periodo).
FIAT ha fatto bene?
Ha fatto male?
Perché ha agito in questo modo?
Si è rivelata ingrata “abbandonando” un Paese che l’ha coccolata per decenni, concedendole importanti agevolazioni (indirette)?
Quali saranno le conseguenze per noi italiani (lavoratori e cittadini tout court)?
E, più di tutto… quale lezione dobbiamo trarre (se ve n’è una) da quanto avvenuto e sta avvenendo?
Procediamo con ordine.
FIAT ha fatto bene ad impostare la propria struttura quale si presenta ora!
Lascerà l’amaro in bocca riconoscerlo, ma ha fatto bene.
FIAT intende continuare ad operare in un mercato, quello dell’auto, che si presenta incredibilmente competitivo (pochi pongono in discussione il fatto che, nel medio periodo, di costruttori di auto nel mondo ne resteranno meno di una decina) e, per farlo, deve “cambiare pelle” (almeno in parte).
Dal punto di vista produttivo / industriale, l’obiettivo era quello di raggiungere dimensioni maggiori; tale obiettivo è stato centrato tramite la fusione industriale con Chrysler (peccato che sia sfuggita quella con Opel a suo tempo…).
E, sino a qui, sul fatto che l’azione condotta si trattasse di “cosa buona e giusta”, si sono levate poche voci di dissenso.
Rimaneva da intervenire sul piano societario / fiscale (e finanziario), ed è quello che sta avvenendo ora.
Non si tratta di poca cosa.
Le scelte operate per la sede fiscale e legale rivelano chiaramente l’intento di approfittare (il termine non è scelto a caso) di importanti opportunità che consentono di “manovrare meglio” la multinazionale sotto entrambi i profili.
Profilo finanziario.
Sarà brutto dirlo, ma l’Inghilterra sta vincendo la competizione con gli altri Paesi evoluti (soprattutto Europei) in materia di concorrenza fiscale: pagare lì le tasse, significa pagarne meno, ma tante di meno e… pagando meno tasse, automaticamente, si dispone di maggiore liquidità.
Alzi la mano, ora, chi ha il coraggio di sostenere che è sbagliata la scelta di eleggere il domicilio fiscale in uno Stato in cui si pagano meno tasse, disponendo, così, di maggiori disponibilità di cassa!
Non vedo nessuna mano alzata… posso procedere.
Profilo societario.
Anche per quanto riguarda la sede legale, trasferita in Olanda, è facile comprendere i “perché” a supporto di tale scelta.
Immagino che tutti abbiamo sentito parlare delle Antille. Terre e mari di mitiche scorribande, bucaniere e pirati, un paradiso non solo naturale, ma anche… fiscale.
Da non sottovalutare il fatto che, si tratti di Antille Olandesi cioè di suolo Olandese, dunque Europeo: in ragione di questo è consentito alle società con sede in Olanda di trasferirsi lì e beneficiare senza problema alcuno di detto paradiso (fiscale).
Di più e meglio.
Ricordo a tutti che, FIAT prima, ed ora FIAT – Chrysler, non sono public company, ma società “private”, nel senso che, tramite la società Exor, la famiglia Agnelli si trova ancora nel pieno controllo di tale multinazionale.
Non si tratta di un particolare di poco conto, anzi, si tratta proprio di uno dei motivi fondanti la scelta di collocare la sede legale in Olanda: in quel Paese, è consentito attribuire un potere di voto superiore ai soci “fedeli” della società (e gli Agnelli, lo sono, direi che l’hanno dimostrato), rispetto ai soci che potremmo definire “occasionali”, quali investitori privati, fondi di investimento ecc..
In questa maniera, conservare il controllo della società nelle mani di Exor (Famiglia Agnelli) sarà assai più facile di quanto potrebbe esserlo in Italia (ma anche in Germania, U.S.A. o altro).
Posto questo, ancora una volta, alzi la mano chi si sente di sostenere che la scelta dell’Olanda quale sede legale di FIAT – Chrysler sia criticabile.
Nessuna mano alzata una seconda volta…
Sulla quotazione delle azioni, direi che si tratta solo di una questione di maggiore liquidità del mercato Newyorkese. E’ questo a risultare particolarmente attraente.
Orbene, veniamo ora a chiederci cosa cambia per l’Italia e gli Italiani.
Gli Italiani e l’Italia ci perdono – è ridicolo nasconderselo – anche se, una parte della produzione industriale (si parla dell’alta gamma), resterà qui.
Ci perdono perché, comunque, alla resa dei conti, risultiamo avere un peso inferiore in questa azienda multinazionale, per quanto originata in Italia.
Veniamo alla conclusione.
Non mi sento di definire FIAT – Chrysler una figlia ingrata dell’Italia. Non la trovo ingrata come non potrei definire cattivo un leone che caccia la preda, o una gazzella che scorteccia un’acacia nella savana (provocandone la morte) per poter… vivere.
FIAT – Chrysler fa quello che deve fare ora un’azienda che presenta le sue caratteristiche per continuare a competere con speranza di successo, dunque, a sopravvivere. Pena, il concreto rischio di chiusura nel medio periodo.
Posto questo, dalla vicenda si trae una lezione?
Sì ed è sin troppo facile da comprendere.
La Politica deve imparare a fare il suo mestiere: le questioni fiscali, societarie e finanziarie, oramai, superano le barriere dei confini nazionali, anzi, se la ridono dei “segni sulla carta geografica”. Per cui, se l’Italia (rectius l’Europa, Inghilterra esclusa naturally) vuole arrestare in qualche modo il proprio declino, dal punto di vista geopolitico, dunque economico, deve assolutamente porre sul tappeto degli incontri internazionali le questioni di giustizia, correttezza e reciprocità nella concorrenza fiscale e finanziaria.
In mancanza di questo non se ne esce e l’Italia, con tutta l’Europa, si troverà sarà sempre più ai margini del mondo e sempre meno ricca.
Certo, il lavoro italiano è eccellente, per cui si continuerà a produrre qui l’alto di gamma di tante e tante “cose”, ma basterà a conservare il benessere di cui oggi godiamo sia pure, ogni giorno di meno?
La domanda è, ovviamente, retorica.
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