Il caso preso in esame dalla Suprema Corte riguarda un grave incidente provocato da una ragazza sedicenne di Roma che tempo fa aveva attraversato il passaggio pedonale di piazzale Flaminio con il semaforo rosso per i pedoni, mentre sopravveniva un malcapitato motociclista.
Riguardo a tale evento, rileva la Corte che “la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 c.c., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico dall’art. 147 c.c. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito”.
Tutto ciò starebbe a significare, ad avviso dei giudici, che i genitori possono liberarsi da ogni responsabilità soltanto se provano di non avere avuto una colpa nell’educare il loro figlio (sic!), anche se ormai questi è prossimo alla maggiore età, sulla base del fatto che “se è vero che oggi è sempre più anticipato il momento in cui i minori si allontanano dalla sorveglianza diretta dei genitori, vanno a scuola da soli e se un quattordicenne può anche girare in motorino, è pur vero che l’obbligo di vigilanza dei genitori non può certo essere annullato, ma assume, piuttosto, contorni diversi”.
Ci sono però domande che restano senza risposta.
Quale genitore, però, può sostenere di essere senza colpa nell’educazione dei figli?
Quale prova può mai essere addotta in giudizio per dimostrare un tale presunto “stato di innocenza”?
In realtà si tratta di temi estremamente delicati che evocano dinamiche affettive e comportamentali di difficile lettura, dinanzi alle quali l’ordinamento giuridico spesso annaspa e gli organi giurisdizionali, per conseguenza, non trovano modo di dirimere con equità la vexata quaestio.
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