Commette il reato di evasione, ex art. 85 c.p. “Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione, ed è da tre a sei anni se la violenza o la minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.
Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.
Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita.”
Dunque, configura la fattispecie criminosa de qua la condotta di colui che, destinatario di un provvedimento coercitivo, si allontana dal luogo in cui si trova in stato di coercizione.
Il caso posto all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour riguardava un imputato: questi era stato afflitto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di allontanamento e di comunicazione con persone estranee al proprio nucleo familiare.
Nonostante tale divieto, il reo era stato sorpreso nelle scale condominiali a parlare con un vicino. Tale condotta è stata sufficiente per condannarlo per il reato di evasione. Il processo, arrivato fino alla Cassazione, ha trovato la conferma della condanna da parte degli Ermellini.
Per tali Giudici, quando si abita in un edificio condominiale, varcare l’uscio di casa e spostarsi, muoversi nelle parti comuni quali scale, cortile, giardino …, si commette il reato di evasione.
Infatti, in sentenza – Cass. sez. VI penale del 5 febbraio 2013 n. 7780 – i Giudici hanno precisato che le aree condominiali in genere,id est androni, scale, cortili del condominio in cui si trova l’abitazione del soggetto destinatario della misura coercitiva “ non possono essere considerate pertinenze delle abitazioni private , non costituendo né parte integrante, né pertinenza esclusiva di esse”.
Per meglio comprendere il dictum della Suprema Corte occorre chiarire che cosa si deve intendere per “abitazione”.
In sentenza è stato precisato che deve intendersi “il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali cortili, giardini, terrazze che non rappresentino sostanziali e formali pertinenze in senso civilistico dell’immobile in cui si è agli arresti domiciliari, ossia elementi integranti non solo caratteri di essenziale funzionalità dell’immobile ma di questo costituente staticamente elemento imprescindibilmente collegato in detto carattere di funzionalità alla cosa principale”.
In conclusione androni, scale, cortili … ovvero le aree condominiali in genere costituiscono luoghi diversi in quanto non facenti parte dell’abitazione privata. Pertanto, il soggetto che destinatario della misura coercitiva ( rectius: arresti domiciliari) viene colto in tali spazi è soggetto alla condanna per il reato di evasione.
Commette, dunque, reato di evasione, ogni detenuto che, trovandosi in questa condizione, “se ne allontani anche per breve tempo, recandosi in luogo diverso da quello stabilito per l’esecuzione della misura alternativa”.
Infatti, perché possa dirsi configurato il reato di evasione non è richiesto:
né un allontanamento definitivo;
né la mancanza dell’”animus revertendi”,
ma è necessario consentire “in pari tempo un agevole e pronto controllo all’autorità’ di polizia sulla reperibilità degli imputati”.
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