Non succede nulla, è tutto come prima. E’ la tesi che, ovviamente, propongono il Presidente della Repubblica, i presidenti di Camera e Senato, il Presidente del Consiglio e tutti i ministri, la stampa che sostiene il Governo e molti costituzionalisti. In particolare, tra questi, coloro che non intendono perdere il ruolo di “star” nei media e la possibilità di ottenere incarichi e prebende da “saggi”.
Lo capisce, invece, anche un bambino che a fronte di una sentenza che dichiara l’incostituzionalità della legge elettorale non può non essere cambiato nulla. E’ cambiato tutto.
E’ venuta a mancare, con effetto retroattivo, la norma che regola la concessione di un mandato di rappresentanza tra il popolo sovrano ed i suoi rappresentanti. I quali, dunque, non rappresentano proprio più nulla. Come minimo, questo vale per quelli eletti grazie al premio di maggioranza. Ma, ovviamente, il vulnus si estende all’intero Parlamento, perché la legge ha falsato completamente le dinamiche conseguenti alla composizione illecita delle camere.
E’ tutto incostituzionale, comprese le leggi già approvate. Questa è la tesi del tanto peggio, tanto meglio, di chi vuole andare alle urne subito, anche col proporzionale secco, derivante dalla sentenza della Consulta, senza nemmeno attendere una riforma della legge elettorale, che il Parlamento, in quanto delegittimato, non avrebbe il potere di adottare.
Tale tesi è anch’essa da rigettare. L’effetto della sentenza della Consulta non si riverbera nei confronti delle leggi e di tutti i provvedimenti già adottati dal Parlamento e dal Governo prima della sua pubblicazione. Detti organi, infatti, hanno provveduto nella piena convinzione della legittimità costituzionale della legge elettorale e, per altro, la gran parte dei rapporti regolati si sono definiti e, dunque, non sono investiti dalle conseguenze della sentenza.
Sono incostituzionali anche Presidente della Repubblica e la stessa Consulta. E’ un’argomentazione dialettica, frutto di un sofisma, conseguente alla tesi di cui sopra.
Le cose non stanno così. Proprio perché il Parlamento ha operato nella convinzione della legittimità costituzionale della sua composizione, i propri atti non sono caducati, sul piano giuridico.
Dunque, il Presidente della Repubblica, così come la Corte costituzionale, risultano certamente legittimati.
Anche perché, la sentenza della Corte costituzionale investe solo il Parlamento ed il meccanismo di rappresentatività del voto. Invece, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale (che, per altro, è un organo giurisdizionale) non sono eletti dal popolo sovrano, dunque non sono investiti dalle conseguenze della sentenza, in quanto non esiste una incostituzionalità “riflessa”.
Perdita della legittimazione per il futuro. Sgomberato il campo dalle letture di comodo ed opportunistiche della sentenza, le conseguenze della stessa sono chiare e valgono per il futuro, da quando, cioè, essa sarà pubblicata.
Un Parlamento, la cui composizione risulti accertato essere viziata da legittimità costituzionale a causa della legge incostituzionale, non può essere considerato rappresentativo del corpo elettorale: è venuto a mancare, per effetto della sentenza, il rapporto di rappresentanza.
Come ha spiegato la Corte costituzionale, ciò non priva il Parlamento del potere di legiferare. Tuttavia, è evidentissima la ricorrenza di una causa di scioglimento obbligatorio delle camere, le quali possono, sì, legiferare, ma non possono esprimere un indirizzo politico a cagione dell’assenza di un rapporto diretto tra voto e orientamento politico del corpo elettorale e mandato politico parlamentare.
Il Parlamento deve essere rieletto, per ripristinare il collegamento della rappresentanza. In attesa di ciò, il Parlamento può solo sostanzialmente legiferare per modificare la legge elettorale e per adottare leggi di natura tecnica, ad esempio discendenti da trattati, oppure per convertire decreti legge, o ancora necessitate da situazioni particolari, limitandosi per il resto a gestire gli affari correnti, senza poter esprimere alcun indirizzo politico, mirante ad orientare l’ordinamento secondo una certa visione, piuttosto che un’altra.
Meno che mai il Parlamento, che già non era stato eletto con alcun mandato posto a riformare la Costituzione, può, in queste condizioni, mettere mano alla Costituzione o a qualsiasi riforma ordinamentale, in quanto per questo tipo di iniziative, tipicamente politiche, occorre un mandato pieno e nemmeno minimamente scalfito da alcuna irregolarità.
Il Governo, a sua volta, in quanto si sorregge per effetto del rapporto di fiducia col Parlamento, dovrebbe sentirsi nel dovere di dimettersi, in quanto non può esercitare l’iniziativa “politica”, visto che la maggioranza che lo sorregge non è legittimamente costituita.
Il Governo dovrebbe limitarsi ai soli affari correnti a sua volta, assumendo le iniziative necessarie ed urgenti e nulla più.
Questi sono i concreti effetti della sentenza della Consulta. Ogni altra diversa lettura è solo frutto di cinismo politico.
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