Quando andavo alle scuole elementari e medie, durante l’ora di geografia, la cosa che più mi incuriosiva di un paese era la sua economia. Leggevo, per esempio, che la Nigeria era il principale esportatore (ora non più) di olio di palma, o che l’Ecuador non lo batteva nessuno per esportazione di banane. Poi un giorno scoprii che alle Maldive il turismo rappresentava quasi la metà dell’economia locale. Il turismo? – pensai – e mò con il turismo si può campare? Crescendo capii che il turismo sarebbe diventato la miniera d’oro dell’Italia: ogni città, paese, borgo, persino quattro case sparse in campagna hanno qualcosa di “turisticamente rilevante”. E’ inutile dire che abbiamo il 70% del patrimonio storico-artistico del Mondo (lo sanno anche le pietre) e che abbiamo storie e tradizioni millenarie, oltre a un paesaggio che tutti c’invidiano. E allora mi appariva ovvio che qui avremmo fatto “gli americani” con il turismo. Ma con il passare degli anni ho consapevolizzato una cosa: non sappiamo attrarre turismo. C’è poco da fare. Se sapessimo attrarre turismo non vivremmo questa crisi economica, anzi, saremmo la Nazione più ricca del Mondo. Dirò di più, non avremmo più bisogno di fabbriche e fabbrichette, di competere con la Cina al ribasso o di puntare sullo sviluppo tecnologico (visto che India e Cina ci battono sempre). In poche parole vivremmo di servizi al turista, di produzione artigianale, di musica, arti visive e spettacolo. Di cinema e gite. Saremmo tutti tour operator, guide turistiche, balneari, albergatori, ristoratori, artigiani, contadini, musicisti, registi e lavoreremmo nell’indotto di queste attività. Ah, che pacchia che sarebbe.
Già, una pacchia, perché secondo la dott.ssa Magda Antonioli, direttrice del Master in Economia del Turismo alla Bocconi di Milano: “la domanda di cultura cresce anche nei periodi congiuntura economica sfavorevole: considerate le ricadute dirette e indirette, l’impatto giornaliero di un turista culturale risulta di circa 400 euro, il triplo rispetto a quello d’un visitatore tradizionale, che supera di poco i 130”.
Ma perché questa “pacchia” non è realtà? Perché non c’è un sistema in grado di attrarre turismo.
Qui entriamo nel campo della normativa.
Anzitutto appare privo di senso il fatto che un Paese a vocazione turistica come l’Italia sia privo di un Ministero per le politiche turistiche. Abbiamo un Ministero dei Beni Culturali che deve sopperire (nell’esiguità di fondi con cui opera) a tale mancanza e che deve anzitutto pensare alla tutela dei beni culturali, ma non solo. E’ anche competente per le attività culturali che – già di per sé – avrebbero bisogno di un ministero ad hoc.
Infatti la carenza di politiche in materia di Turismo si denota dal fatto che fino a pochi mesi fa era competente il Ministero per gli Affari Regionali (che includeva anche Turismo e Sport), poi la materia del Turismo è passata sotto l’egida del MIBAC, che – con fondi limitatissimi – si occupa di: tutela del Patrimonio culturale (conservazione, valorizzazione, promozione), attività culturali (musica, cinema, spettacolo) e oggi anche di Turismo. E’ mai possibile che un solo Ministero possa occuparsi della vera e unica ricchezza dell’Italia?
Andiamo avanti? Nella Costituzione italiana non c’è alcun riferimento alle competenze statali, regionali o concorrenti in materia di Turismo. Eppure all’epoca della riforma del Titolo V della Costituzione i fenomeni turistici erano già ben strutturati a livello internazionale.
Ma il problema principale è che non abbiamo una normativa nazionale in materia di turismo.
Per fortuna a “metterci una pezza” ci hanno pensato le Regioni. Penso, per esempio, alla L.R. 11/2013 della Regione Veneto, rubricata “Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto”, la quale, tra le altre innovazioni, ha previsto anche degli interventi per il Turismo accessibile; penso anche al T.U. delle L.R. in materia di turismo (L.R. 42/2000) della Regione Toscana, la quale ha tentato di riordinare il settore del turismo nella Regione sotto molti aspetti.
Ma penso anche alla mia Regione, la Puglia, che ad oggi conta una miriade di leggi e leggine che disciplinano porzioni di turismo, senza una vera e propria disciplina unitaria e una visione chiara e ampia del sistema. La più recente L.R., per esempio, disciplina l’attività ricettiva di albergo diffuso (L.R. 17/2011), poi vi è una L.R. sulle attività professionali turistiche (L.R. 37/2008) e persino una legge sugli stabilimenti balneari (L.R. 24/2008), come se questi tre settori non facessero tutti parte del concetto di “Turismo”.
E’ chiaro che il caso della Regione Puglia è un caso limite (perché non è intervenuta unitariamente sulla questione), ma il punto fondamentale è che non si può lasciare alle singole Regioni il compito di disciplinare un settore che invece andrebbe gestito e coordinato a livello centrale.
Questo perché? “I viaggiatori internazionali cercano oggi un’offerta organizzata e, anche se l’Italia rappresenta per più di una ragione la meta più desiderabile, spesso la scelta finale premia altre destinazioni perché complessivamente più convenienti o più “facili”. Per competere con successo nel mercato turistico internazionale, è necessario allora comprendere a fondo anzitutto la domanda ed essere in grado poi di offrire prodotti moderni, consapevoli del fatto che l’esperienza di consumo turistico ha inizio ben prima dell’atto della prenotazione e termina ben dopo il rientro a casa” (Turismo Italia 2020, piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia, Roma, 18 gennaio 2013).
Cosa significa “più convenienti” o “più facili”? Semplice, significa che altri Paesi d’Europa (ad es. Francia e Spagna) dispongono anzitutto di normative e strutture organizzative e di governance a livello centrale, il ché significa che hanno ben chiaro l’obiettivo di attrarre anzitutto il turismo nel Paese e poi di “spargerlo” tra i vari contesti territoriali; inoltre dispongono di servizi al turista e di infrastrutture che l’Italia non ha. Perché manca – appunto – di politiche centrali di intervento in materia di turismo.
Sarà per questo che tra le principali destinazioni del turismo internazionale l’Italia si classifica solo al 5 posto, preceduta da Francia, USA, Cina e Spagna? Perché siamo solo quinti pur avendo quasi tutto il patrimonio culturale del Pianeta?
Faccio un esempio. Sono un turista tedesco e voglio visitare l’Italia. Da buon tedesco sono attratto dalle città d’arte. In una settimana di viaggio voglio visitare: Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Arrivo con l’aereo a Milano. Qui scopro che devo pagare 2 euro di imposta di soggiorno. Poi prendo il treno e arrivo a Venezia. Lì in alta stagione arrivo a pagare 4 euro di imposta di soggiorno. Da Venezia mi sposto con il treno a Firenze (dove pago da 1 a 5 euro in base alle stelle dell’albergo), poi a Roma e poi a Napoli. Da Napoli voglio arrivare all’ultima tappa: Palermo. “Come?? – penserò – impiego 10 ore solo per fare 700 km? Allora me ne torno indietro”.
Ecco, Palermo ha perso un turista. Ora moltiplichiamolo per 365 giorni e per diverse decine d’anni, poi moltiplichiamolo per le 400 euro che (forse) avrebbe speso a Palermo e ci rendiamo conto della fortuna che Palermo ha perso.
Stiamo parlando di metropoli, perché se estendiamo il discorso alle piccole città, allora i tempi e i costi degli spostamenti si moltiplicano.
Il 3 novembre si è tenuta a Lecce una conferenza sul Turismo culturale, in cui sono stati presentati i dati di un sondaggio che coinvolge il turismo in Salento e in cui si è riflettuto sulle innumerevoli carenze che il territorio salentino ha in materia di turismo.
Ma la principale criticità emersa dal sondaggio si può estendere a molte zone d’Italia: la carenza di trasporti pubblici.
Molti – moltissimi – intervistati hanno dichiarato che in Salento non c’è un sistema di trasporti pubblici in grado di favorire gli spostamenti da un punto all’altro e che, per questo, molti turisti optano per altre destinazioni.
Ora penso che proprio l’anno scorso sono stati sacrificati ben 8.500 alberi d’ulivo per creare una strada a 4 corsie che collega Maglie ad Otranto e che copre solo 15 km. La motivazione, da parte della politica, è stata che “occorre migliorare la viabilità nei tratti ad alta affluenza”. Ma mi chiedo…se il turista viene in Salento perché attratto dalla Natura e viene senza mezzi propri, a cosa serve distruggere un pezzo di Natura per favorire chi usa i mezzi propri? Forse la scelta è dovuta al fatto che si vuole favorire il turismo locale o quello delle regioni limitrofe, ma se l’Italia e il Sud in particolare sono territori ad alta vocazione turistica, non sarebbe meglio favorire chi, invece, spende di più e si serve di mezzi pubblici? Chi spende di più? Ovviamente il turista culturale (stando a quanto sostiene la prof.ssa Antonioli) e ovviamente il turista straniero che, secondo la Banca d’Italia, nel 2012 ha speso 32.066 milioni di euro, con una crescita del 3,8% (circa 1,2 miliardi di euro in più) rispetto al 2011.
Di sicuro un finlandese o un norvegese o anche solo un tedesco difficilmente farà migliaia di km con la propria auto, scegliendo invece di servirsi di mezzi pubblici.
E’ curioso osservare che il turista straniero, sempre secondo l’ENIT, preferisce visitare le Città d’interesse storico e artistico. Ma dove? Anzitutto in Veneto, poi in Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna. Dobbiamo scendere al 7 e 8 posto per trovare una Regione del Sud, la Campania e la Sicilia. La Puglia è solo al quattordicesimo posto, mentre ultimo si classifica il Molise.
E’ ancora più curioso osservare che le principali mete turistiche sono quelle in cui la Regione ha investito maggiormente in termini di impegno normativo e di risorse, come il Veneto e la Toscana.
Ciò dimostra quanto il turista culturale, specialmente straniero, sia attento non solo alle bellezze architettoniche e naturalistiche che intende visitare, ma anche (e forse soprattutto) ai servizi offerti (mobilità, servizi turistici integrati, strutture ricettive, anche strade pulite e ben curate…).
Dunque, se l’Italia vuole davvero investire nel Turismo e nel Turismo di qualità, ha bisogno di ripensare alle politiche di governance del Turismo stesso, predisponendo una normativa che imponga alle Regioni linee guida unitarie (per esempio, è inconcepibile che ogni Comune applichi imposte di soggiorno diverse senza alcun criterio direttivo generale), investendo sulle infrastrutture necessarie alla mobilità (trasporti pubblici su rotaia, per esempio) soprattutto nelle zone più disagiate (come la Provincia di Lecce, la quale conta 100 Comuni e dispone di un solo binario che collega pochissime località), imponendo alle strutture ricettive dei servizi minimi essenziali (come il wi-fi, oramai un servizio indispensabile), riqualificando il personale (è inconcepibile che un albergatore non parli almeno l’inglese), e soprattutto favorendo gli investimenti degli imprenditori nel settore del Turismo.
Ovviamente occorrerebbero altri interventi che non competono solo allo Stato, ma all’Ordinamento nella sua complessità, secondo il principio di leale collaborazione tra Stato ed Enti territoriali, quali: riqualificazione dei centri urbani, collegamenti tra i centri urbani e i centri rurali che dispongono di elementi turisticamente rilevanti (cripte, chiesette, megaliti, etc.), formazione di guide e tour operator che possano interfacciarsi con le diverse esigenze turistiche, ecc.
Ma un compito importante spetta anche alle Associazioni di Categoria, le quali dovrebbero integrare le proprie competenze, supportati dalla “regia” degli enti di governo del territorio.
Forse questi sarebbero dei primi passi – accanto all’immancabile azione di marketing territoriale – per iniziare un percorso che possa far scalare l’Italia al posto che merita nella classifica mondiale del turismo internazionale e di qualità: il primo.
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